Tra lavoratori a tempo indeterminato, precari e stagionali, che costano 73 milioni l’anno, l’esercito dei Consorzi di Bonifica comprende circa 2 mila persone. Tutte a carico della Regione. Ma il vero interrogativo è un altro: a cosa servono? Secondo le indicazioni contenute nell’ultimo piano di rientro dal disavanzo con lo Stato, allegato al Bilancio in discussione all’Ars, i consorzi sono “chiamati alla difesa del suolo, valorizzazione del territorio, tutela delle acque e salvaguardia dell’ambiente”, sebbene – è l’ammissione del governo regionale – “hanno visto ridurre sempre più le proprie competenze”. Da alcune ricostruzioni di stampa, si apprende che a causa di condotte colabrodo e altre problematiche tecniche, oggi si riescono ad irrigare appena 61 mila ettari dei 176 mila potenziali (fonte: Quotidiano di Sicilia). Il sistema non garantisce un servizio adeguato per i destinatari finali (gli agricoltori) e, al contrario, alimenta sprechi inutili e condizioni incerte per i lavoratori. Un carrozzone come tanti.

Da qui l’esigenza di una riforma complessiva che, dopo il tentativo di accorpare gli undici consorzi di partenza in due sole strutture (una per la Sicilia occidentale, una per quella orientale), stabilisce “una gestione unitaria delle attività degli attuali consorzi in capo ad unico consorzio di bonifica”. L’ha chiesta Roma, nella prospettiva di una riqualificazione della spesa, e la Regione, che non ha scelta, sarà costretta ad accordarla. Ma quello che è accaduto negli ultimi giorni, e che ha richiamato persino l’attenzione dell’assessore all’Economia Gaetano Armao, va in tutt’altra direzione. Secondo una denuncia del Di.r.si, l’associazione dirigenti Regione siciliana, “più di venti funzionari direttivi degli undici Consorzi di Bonifica siciliani, tuttora in regime di “periodo transitorio” e con il rispettivo Collegio dei Revisori dei Conti non costituito, sono stati promossi in massa per “merito comparativo”, a dirigenti a tempo indeterminato”. Si tratta di progressioni verticali (assimilabili a vere e proprie assunzioni) deliberate fra novembre e dicembre 2020. I costi per la dirigenza, che oggi supera la trenta unità, si aggira sui 2 milioni annui. Non rientra in questa categoria l’ex assessore all’Agricoltura, Edy Bandiera, come riportato erroneamente.

Quello andato in scena è il finale di un melodramma che, oltre a cozzare con il buonsenso (ma in Sicilia non può certo considerarsi una novità), si scontra con il decreto legislativo n.165/2001 in tema di dirigenza pubblica, ma anche con il recente accordo Stato-Regione, in cui si parla di “riorganizzazione e snellimento della struttura amministrativa della Regione, al fine di ottenere una riduzione significativa degli uffici di livello dirigenziale e, in misura proporzionale, delle dotazioni organiche del personale dirigenziale”. Qualcuno sta percorrendo la strada contromano. Per di più, le promozioni sono avvenute senza concorso e senza una copertura finanziaria certa: il Bilancio di previsione 2021-23, infatti, non è stato ancora approvato (è fermo all’Ars, in attesa che si concluda la trafila della Legge di Stabilità). Un disastro giuridico, se dovesse essere confermato. Armao, preso alla sprovvista, ha ordinato un’ispezione per verificare la legittimità dei procedimenti, evidenziando come “siffatta progressione giuridico-economica di taluni soggetti, inciderebbe notevolmente sui trasferimenti regionali ove l’attuale situazione finanziaria della Regione siciliana impone una riduzione della spesa corrente che interessa anche gli enti vigilati”, tra cui i Consorzi di Bonifica.

Ai Consorzi di Bonifica fa riferimento anche l’ultima Finanziaria regionale. All’articolo 74 si parla infatti della stabilizzazione del personale, senza però tirare in ballo nuove figure dirigenziali, e si autorizza “in misura non superiore al 50 per cento dei posti disponibili, ad assumere a tempo indeterminato, previo espletamento di procedure concorsuali riservate, i soggetti che abbiano prestato servizio in favore dei suddetti consorzi con contratto a tempo determinato (…) per un periodo di 36 mesi”. Mentre l’articolo 136, stabilisce la liquidazione degli undici consorzi di bonifica e la nomina del commissario liquidatore. A queste disposizioni, le prime della serie, dovrebbe seguire una riforma vera e propria che preveda, da un lato, “il collegamento dell’azione consortile con le esigenze del territorio”, garantendo una “razionalizzazione efficace ed efficiente delle risorse strumentali, umane e finanziarie”; dall’altro, “nuovi accordi di programma con gli enti locali” e “la programmazione di investimenti per nuove opere ed interventi di manutenzione straordinaria delle infrastrutture impiegate dal consorzio”. Un percorso virtuoso che porterebbe il carrozzone all’autosufficienza economico-finanziaria, e la Regione a diminuire progressivamente il proprio contributo annuale. La nomina di nuovi dirigenti non c’entra nulla con il risanamento; ma è ancora più strano che la Regione, pur “vigilando” sui Consorzi di Bonifica, non ne sapesse alcunché.

Musumeci & friends sapranno certamente qualcosa in più della proposta deliberativa presentata dal Cda dell’Esa, diretto dal presidente Giuseppe Catania, a metà gennaio. Che va più o meno nella stessa direzione e tenta di inquadrare 16 funzionari nella terza fascia dirigenziale, che Roma, nel famoso accordo del 14 gennaio, insiste nel voler sopprimere (e che nel resto d’Italia nemmeno esiste). Tecnicamente si tratta dell’approvazione del “Regolamento II fase. Ordinamento giuridico ed economico del Personale dell’Ente di Sviluppo Agricolo della Regione siciliana in funzione del nuovo organigramma” che, all’articolo 3, comma 4, istituisce “una terza fascia dirigenziale alla quale accede il personale in organico, anche di diversa provenienza, già inquadrato con la medesima qualifica”.

Una decisione immediatamente “impugnata” dai sindacati, che hanno diffidato l’Esa ad andare avanti, per aver colto “gravi violazioni di legge” all’interno del regolamento in esame. “Appare indubbio – si legge nella diffida dello scorso 18 gennaio – che le norme del regolamento del personale Esa non prevedono l’introduzione della terza fascia dirigenziale”; inoltre, “l’accesso alla dirigenza potrà avvenire esclusivamente mediante procedure concorsuali pubbliche, essendo assolutamente preclusa ogni progressione verticale automatica così come una mera selezione interna”.

Nella diffida firmata da Cgil, Uil e Fsi-Usae, tale proposta deliberativa viene definita “illegittima” e “illegale”. Il ricorso ai tribunali, evidentemente, deve aver dissuaso il Cda dell’Ente di sviluppo agricolo, che non ha più provveduto alla sua approvazione (ma nei prossimi giorni, confermano fonti sindacali, potrebbe tornare alla carica). Queste progressioni verticali, fra l’altro, avrebbero determinato un “maggiore onere di euro 1.083.538,86 su base annuale, per l’adeguamento contrattuale del personale non dirigente, per quello dirigente e per la retribuzione di parte variabile riferibile alla contrattualizzazione dirigenziale di natura privatistica”. Un cazzotto alla spending review, dal momento che l’accordo con lo Stato impone “la riduzione dei trasferimenti correnti agli enti pubblici e alle società del GAP” (gruppo amministrazione pubblica).

Ma poi, a che serve l’Ente di sviluppo agricolo? Musumeci avrebbe voluto sopprimerlo a inizio legislatura. Poi, non solo ha fatto marcia indietro, ma ha persino nominato ai vertici un suo uomo di fiducia, che è anche presidente dell’assemblea regionale di Diventerà Bellissima (Giuseppe Catania). L’unica poltrona a saltare è stata quella del direttore generale. Ad agosto l’atto di interpello interno è stato ritirato poche ore prima della scadenza, e il Cda ha provveduto alla nomina di un facente funzioni (il dirigente regionale Dario Cartabellotta). Tante, troppe cose non quadrano nella governance di un ente la cui funzione non è al passo coi tempi. E che oggi, nella migliore delle ipotesi, si occupa della sanificazione dei luoghi di lavoro o della manutenzione dei parchi archeologici. Inoltre, grazie a una sentenza del Tar passata in giudicato, pesa per 120 milioni – a causa del mancato saldo di cinque immobili – sui conti di una Regione già disastrata. Un altro “buco” che Palazzo d’Orleans non ha previsto di coprire con questo Bilancio. La solita operazione a perdere che consiglierebbe una immediata dismissione dell’ente, e che invece produce la reazione opposta: il ricorso ad altri dirigenti.