La Regione siciliana doveva spalmare il disavanzo in tre anni e non in dieci, come ha fatto in virtù dell’articolo 7 del decreto legislativo 27 dicembre 2019, 158. A stabilirlo è una sentenza della Corte costituzionale che ha dichiarato illegittimo quel decreto, accogliendo il ricorso presentato dalla Sezione riunite della Corte dei Conti che aveva sollevato la questione nell’ambito della parifica dei rendiconto per il 2020 e per il 2021, il cui giudizio era stato sospeso.

Alla luce dell’incostituzionalità del decreto legislativo, la Consulta ha dichiarato illegittime le conseguenti norme approvate dall’Assemblea siciliana ovvero l’articolo 4, comma 2 dell’assestamento del bilancio di previsione 2019 e del triennale 2019/2021. Segnalando, fra le altre cose, che l’assestamento “anziché prevedere misure di contenimento della spesa, dispone modalità direcupero del disavanzo che consentono addirittura di ampliarla senza adeguata copertura, in tal modo compromettendo il già difficile assetto della finanza regionale, con conseguenze sui contribuenti presenti e futuri, gravati dall’esigenza di un maggiore prelievo fiscale necessario a ripristinare il turbato equilibrio”.

Un richiamo più o meno diretto all’Assemblea regionale e all’assessore all’Economia del tempo, Gaetano Armao. “In presenza di difficoltà nel risanamento dell’ente strutturalmente deficitario – spiega inoltre la Consulta -, il recupero del disavanzo non può essere ulteriormente procrastinato, dovendosi, per converso, porre in essere azioni indispensabili adincentivare il buon andamento dei servizi e pratiche di amministrazione ispirate a una oculata e proficua spenditadelle risorse della collettività”. Insomma la Regione, cavalcando il decreto legislativo approvato a Roma, non ha fatto che peggiorare le sorti del bilancio regionale, soprattutto nell’ottica della equità intergenerazionale.

Anche se – va sottolineato – la sentenza odierna non ha alcun rilievo sui conti pubblici della Sicilia. Una legge di fine 2023 – di rango superiore – ha superato il decreto della discordia, stabilendo che il disavanzo può essere ripianato in otto anni. Da qui la soddisfazione di Schifani: “L’equilibrio dei nostri conti non è in discussione poiché nel frattempo abbiamo rispettato le indicazioni di Roma e della Corte dei conti, abbattendo il disavanzo e rimettendo la Sicilia in regola”. “Nel 2022 – aggiunge l’assessore all’Economia, Marco Falcone – siamo scesi da 6 a 4 miliardi di euro e per il rendiconto 2023 le nostre previsioni accreditano un ulteriore calo di ben 500-700 milioni. Proseguiremo, dunque, nella virtuosa operazione di ripiano del nostro debito senza incidere sul livello dei servizi offerti dalla Regione, e anzi potenziandoli e incrementando gli investimenti”. Resta una macchia del passato. Anziché lavarla, però, Schifani ha assegnato ad Armao il pieno controllo dei fondi extraregionali con un incarico da 60 mila euro l’anno.