Mercoledì in Sicilia non ci sarà soltanto uno sciopero, ma la fotografia nitida di un sistema sanitario che, più che vacillare, sembra ormai non essere governato da nessuno. Le strutture accreditate – laboratori, radiologi, odontoiatri, cardiologi, fisiatri – chiuderanno per l’intera giornata, mentre una manifestazione attraverserà piazza Indipendenza fino a Palazzo d’Orléans. È il segnale di un malessere ormai esploso. È il prodotto di un anno di promesse mancate, procedure sbagliate, ritardi amministrativi, e della sensazione, ormai dilagante, che la Regione abbia perso il controllo della macchina.
E non si tratta di una protesta di nicchia: parliamo di un universo di circa 1.200 strutture, cioè dell’ossatura che ogni giorno assicura una parte essenziale delle prestazioni che il pubblico non riesce a garantire. L’assessora Daniela Faraoni ha tentato in extremis di scongiurare la serrata convocando, venerdì scorso, un incontro che si è trasformato in un boomerang. Attorno al tavolo si sono presentate appena tre sigle: le uniche rimaste allineate alla linea dell’assessorato. La frattura con il resto del settore era già profondissima, e non solo per i ritardi o per le procedure confuse: nelle settimane precedenti l’assessora aveva definito alcuni convenzionati «faccendieri» e accusato le strutture di fare «manfrine» per ottenere budget tardivi. Un lessico che ha contribuito a isolare ancora di più il fronte delle tre sigle rimaste al tavolo.
Le altre quattordici – cioè la stragrande maggioranza, quelle che hanno organizzato lo sciopero – hanno scelto di non sedersi. «Dopo ben sei Pec di richiesta – ha raccontato Salvatore Calvaruso, presidente regionale del Cimest – ci ha convocato all’ultimo momento. Abbiamo preferito non andare perché non ci sono i margini per far rientrare la protesta». Un giudizio ancora più duro è arrivato dal coordinatore nazionale Sbv, Salvatore Gibiino, secondo cui «la sanità siciliana non è ostaggio di Roma: è ostaggio dell’incapacità regionale». Parole che danno il tono di una mobilitazione che non vuole un tavolo, ma una svolta. E che contestano all’assessora non solo i “tempi” dell’incontro, ma la totale assenza di scelte sugli elementi essenziali: i budget, le tariffe, la fine del piano di rientro.
Il nodo centrale, infatti, è rimasto lì dov’era: l’aggregato di spesa per il 2025, annunciato a giugno, ma ancora non assegnato alle singole strutture. «Ci sarebbe l’obbligo di assegnare il budget entro il 28 febbraio – ha ricordato Gibiino – ma stiamo ancora lavorando sulle cifre provvisorie. Alla fine avremo effettuato più prestazioni che nessuno ci rimborserà». E la causa non è misteriosa: l’assessorato ha modificato per cinque volte la modulistica richiesta per calcolare il fabbisogno, e oggi le strutture aspettano ancora che i parametri vengano validati. Nel frattempo, come spiega Pietro Miraglia di Federbiologi, «siamo costretti, al raggiungimento del dodicesimo del budget assegnato, a non erogare più prestazioni ai cittadini col servizio sanitario».
È un messaggio che dà il senso della tensione: da mesi i laboratori finiscono i fondi a metà mese, mentre le liste d’attesa crescono e i cittadini si trovano davanti porte chiuse non per sciopero, ma per esaurimento dei budget. Il problema non sono le sigle, ma i numeri. I tariffari fermi a vent’anni fa; gli 11 euro riconosciuti a un elettrocardiogramma nelle strutture accreditate contro i 39 del pubblico, che diventano oltre 100 quando si pagano gli straordinari per smaltire le liste d’attesa; la totale assenza degli audit che la Regione avrebbe dovuto pubblicare annualmente. È uno squilibrio strutturale che riguarda l’intero sistema.
Lo sciopero arriva in un momento in cui la governance sanitaria sembra paralizzata. All’ASP di Palermo manca il decreto di nomina per Alberto Firenze, alla Pianificazione strategica “resiste” Iacolino nonostante FdI abbia strappato a Schifani la promessa di metterlo alla porta (il dirigente sembra indirizzato al Policlinico di Messina, dove però è ancora in carica Santonocito). La nuova rete ospedaliera, promessa e sbandierata, non ha ancora superato il vaglio del Ministero. L’elisoccorso rischia di fermarsi dal primo gennaio dopo la pesante censura dell’Anac. La soluzione proposta è paradossale: far gestire il servizio alla centrale di un’altra Regione, ammettendo formalmente l’incapacità della Sicilia di gestire un appalto vitale.
In questo contesto, la protesta dei convenzionati non è un fenomeno isolato, ma un tassello di un collasso più ampio. Lo dimostrano le inchieste (in primis quella che ha coinvolto Cuffaro), ma anche le ispezioni, i sopralluoghi, le verifiche dirette condotte negli ultimi mesi da Davide Faraone negli ospedali siciliani, che stanno restituendo un’immagine desolante del territorio. A Sciacca, l’astanteria del Pronto soccorso – nuova, inaugurata a marzo – non ha mai aperto per mancanza di medici: servirebbero almeno quattro camici in più, mentre la nuova rete ospedaliera assegna 35 posti letto aggiuntivi senza prevedere il personale necessario. Ad Agrigento, per una colonscopia con priorità “B” (entro 10 giorni) la prima disponibilità è a marzo, per una risonanza si attendono fino a sei mesi. A Corleone, una neonata è stata salvata grazie a una videochiamata WhatsApp con un pediatra a distanza, perché il punto nascita è formalmente aperto ma praticamente inesistente. È la dimostrazione plastica che in Sicilia la differenza fra ciò che esiste “sulla carta” e ciò che esiste nella realtà può diventare questione di vita o di morte.
Sono proprio questi blitz, queste verifiche fatte “alla pari” dei cittadini – senza preavvisi, senza tagli di nastro – a trasformare il lavoro del capogruppo alla Camera di Italia Viva nell’unica opposizione realmente presente sul campo. Una funzione che dovrebbe spettare alla Regione e ai suoi organismi di controllo, e che invece oggi viene svolta da chi sta fuori dal palazzo, mentre chi governa continua a raccontare che “la sanità va meglio” e che “le logiche di assegnazione sono cambiate” (dimostra l’ultima sparata sulla commissione che indicherà al governo una terna per la Direzione delle Asp).
La verità, però, è nelle cose. In un piano di rientro che blocca ogni decisione ma non viene superato. In budget che per legge dovevano essere assegnati a febbraio e che a novembre non esistono. In reparti inaugurati e mai aperti. In una politica che continua a considerare la sanità il proprio campo di manovra. Mercoledì lo sciopero farà rumore, certo. Ma il vero scandalo non è la serrata di un giorno. Il vero scandalo è che non c’è un solo indicatore, in questa fase, che dica che il sistema siciliano stia andando in una direzione opposta al collasso.


