C’è già una previsione di spesa corpulenta per i prossimi anni: la Commissione europea, infatti, ha approvato la dotazione finanziaria del Po Fesr Sicilia 2021-27, dal valore di quasi 6 miliardi di euro. Si tratta, nello specifico, di Fondi per lo Sviluppo regionale, che rappresentano un tesoretto molto ghiotto in termini di investimenti: 950 mila euro dovrebbero finanziare i settori dell’innovazione e della digitalizzazione per rafforzare la competitività delle imprese; 425 mila saranno indirizzati allo sviluppo sostenibile e al Green Deal; oltre un milione al miglioramento delle infrastrutture relative ai trasporti e alla mobilità regionale.

Ma questo carico di buone intenzioni, come avvenuto in tempi recenti, rischia di essere tradito. Perché in attesa di cominciare a spendere i soldi della prossima programmazione (4,1 miliardi sono frutto dell’Europa, il resto di un co-finanziamento fra Stato e Regione), e di farlo entro la scadenza naturale del 2029, la Sicilia tiene in ghiaccio quasi due miliardi della vecchia: cioè l’agenda 2014-20 che imporrebbe di spendere le somme residue entro il 31 dicembre di quest’anno, pena la restituzione a Bruxelles. I sogni di gloria del governo Musumeci (prima) e del governo Schifani (poi) rischiano di tramutarsi nell’ennesima beffa per i siciliani. E l’Isola, che nel passato più recente – addirittura – ha finito per utilizzare i fondi UE per pagarcisi la spesa corrente, o distribuire mancette in Finanziaria, rischia di rimanere sempre più indietro e di non accorciare mai il gap col resto d’Italia e d’Europa.

La velata minaccia è certificata dal sistema di avanzamento della spesa, da cui emerge un ritardo di 1,8 miliardi euro nell’utilizzo dei fondi UE. Si tratta di soldi che andrebbero ammessi a pagamento entro il 2023, con tutte le difficoltà che questo step comporta. L’Isola è indietro su tutto: su ricerca, sviluppo tecnologico e innovazione, sull’agenda digitale, sulla salvaguardia del territorio, sull’inclusione sociale, sulla formazione. Una sfilza di sette in condotta che, in un altro Paese, avrebbe ricadute a cascata: sui dirigenti e anche sugli assessori, che tuttavia rappresentano la punta di un iceberg rispetto a una burocrazia molle e inefficace. In questa catena di comando che non sa darsi risposte, ma sa trovare soltanto alibi, la colpa finirebbe per ricadere su chi non permette i concorsi nella pubblica amministrazione o, se vogliamo, su chi a fine anno valuta la performance dei dirigenti e dipendenti regionali col massimo dei voti: ma che partita hanno visto?

Un paio di mesi fa era stato il deputato del M5s, Luigi Sunseri, a evidenziare una forte anomalia: “Solo un quarto di progetti finanziabili con le risorse europee di Agenda Urbana del Po Fesr 2014-2020 è in dirittura d’arrivo – diceva il presidente della commissione UE all’Ars – e c’è grande incertezza sulle somme che non saranno spese entro il 31 dicembre di quest’anno”. Al 24 aprile, in questa specifica linea di finanziamento, erano stati caricati 157 progetti per una quota ammessa di circa 230 milioni di euro. Ma solo 100 milioni avevano ottenuto impegni giuridicamente vincolanti. Nell’area di Catania-Acireale, addirittura, solo il 2% delle risorse era stato speso e certificato: circa 500 mila euro sui 47 milioni a disposizione. Non ci vuole un genio della matematica o mago della programmazione – Schifani ha appena avocato la delega a sé, dopo averla scippata all’assessore Falcone – per capire lo spreco (eventuale).

Eppure in Sicilia non mancherebbero i progetti da portare avanti. Solo che la macchina s’impalla spesso: il problema dei due miliardi, è noto dalla fine dell’anno scorso. Sia al governatore, che nel frattempo ha nominato Armao in qualità di esperto di fondi extra-regionali; che a Federico Lasco, il responsabile dell’Autorità di gestione del Po Fesr, che infatti annunciava: “La vera sfida sarà quella di rendicontare oltre 1,8 miliardi di euro nel 2023. Abbiamo piena coscienza dello sforzo che ci troviamo davanti, e con la Commissione europea stiamo lavorando fianco a fianco, con grande spirito di collaborazione e approccio operativo, per risolvere le problematiche e centrare tutti gli obiettivi previsti, nel rispetto dei principi di efficacia e qualità della spesa”. “Neanche un euro sarà restituito a Bruxelles”, tranquillizzava Schifani a metà dicembre.

Alcuni precedenti, però, non sono di buon auspicio: sembra dell’altro giorno, infatti, la bocciatura in blocco dei 31 progetti presentati dai Consorzi di Bonifica per l’approvvigionamento idrico, costati alla Sicilia una perdita secca di quasi 400 milioni a valere sul Pnrr. E come dimenticare i quattro milioncini, o giù di lì, che si sono volatilizzati in seguito alla decisione di Schifani di ritirare in autotutela l’affidamento diretto a una società del Lussemburgo per la realizzazione di uno shooting a Cannes? E’ solo un puntino nello spazio, ma indicativo della percezione che i politici, in Sicilia, hanno delle risorse comunitarie: come fossero soldi di Serie B, utili a pagarci le prebende e a liberare spazio su un bilancio regionale già ridotto all’osso. Una concezione provincialista che sta mettendo a rischio anche un’altra, importante dotazione: quella su cui si è retta il programma SeeSicily, finanziato lautamente coi Fesr per circa 70 milioni di euro.

Di recente, la Direzione generale della Politica regionale e urbana della Commissione europea, ha inviato al presidente della Regione un documento che minaccia la possibile interruzione “dei termini di pagamento alle operazioni connesse” al programma stipulato dall’ex assessore Manlio Messina. Bisognerà “effettuare verifiche supplementari”, in base a “informazioni” sulla “possibilità che le spese siano connesse a irregolarità con gravi conseguenze finanziarie”. Sulle operazioni di SeeSicily, come riportato da un articolo de ‘La Sicilia’, sono stati effettuati controlli a campione sul periodo contabile 2020/21: su 2.720.473 euro imputati alla voce «Pernottamenti» sono state individuate «irregolarità» pari 735.089,25 euro; sulla «Promozione del programma» sarebbero illegittimamente spesi 680.118 euro su 2.813.159 verificati.

La Regione, attraverso una successiva ricognizione dell’Audit, ha ammesso una prima tranche di irregolarità pari a 1,7 milioni di euro. Ma non basta. Nella cura suggerita da Bruxelles rientrano parecchie misure: innanzi tutto, bisogna «riesaminare le verifiche di gestione delle operazioni connesse a SeeSicily al fine di garantire che siano stati selezionati solo progetti in possesso dei requisiti di ammissibilità». Poi è necessaria la «ripetizione della verifica del rispetto delle norme sugli appalti pubblici e dell’ammissibilità delle spese per le operazioni connesse a SeeSicily». Serve inoltre una «rettifica finanziaria», a cura delle autorità nazionali, «se è confermato il mancato rispetto delle norme, per le spese passate e per tutte le spese nuove da dichiarare». Infine le «verifiche del rispetto delle norme sugli appalti per le operazioni connesse a SeeSicily, se è confermato il mancato rispetto delle norme».

Una serie di contestazioni e ammonimenti formali che sublimano un comportamento di fondo: la Regione non sa spendere i fondi comunitari. Spesso li “cala” in Legge di Stabilità, come accaduto a febbraio di quest’anno, senza averne titolo (in quel caso Palazzo Chigi ha impugnato norme per circa 800 milioni, rendendo necessario il ricorso a ben due “collegati”). Altre volte non riesce a destinarle a progetti concreti. Dietro questa inefficacia ci sono responsabilità molteplici e da approfondire. Ma soprattutto domande da fare: possono le opposizioni cedere soltanto al richiamo di lampeggianti e auto blu, senza mai porsi un dubbio – tranne casi specifici e circostanziati – su come vengono (o sul perché non vengono) utilizzati i soldi dell’Unione Europea? Sarebbe un buon punto di partenza…