Messa al tappeto la burocrazia, Palermo si prepara ad accogliere “Ostello Bello”. Nell’area dell’ex centrale Enel, alle spalle del Castello a Mare, sorgerà la tredicesima struttura della catena fondata nel 2009, tra gli altri, da Carlo Dalla Chiesa. Nipote del generale Carlo Alberto; figlio di Nando, ex deputato e sottosegretario di Stato. Ma, soprattutto, co-founder di questa “piccola impresa che vuole fare del bene”, intrecciando arte e ricettività, cultura ed esperienze. Un ostello da 200 posti letto che ha dovuto sopportare una gestazione infinita a causa del ‘niet’ dell’Edilizia privata del Comune, che lo scorso anno ha negato il permesso di costruire perché “la destinazione d’uso non è conforme al piano urbanistico”.

Prima di arrivare allo showdown in Consiglio comunale (dove il commissario cittadino della Lega, Alessandro Anello, ha sollevato più volte la questione) è stato il Tar a rimuovere gli ostacoli, accogliendo il ricorso presentato dalla Neaimmobiliare slr di Dario Mirri, socio in affari di Dalla Chiesa. Era stato l’attuale patron del Palermo, nel 2018, ad acquistare l’area dell’ex centrale, impegnandosi a riqualificare l’immobile che vi sorge all’interno: “Verrà un gioiellino”, promette Dalla Chiesa. Senza però nascondere ulteriori preoccupazioni: “I lavori dovrebbero cominciare entro l’estate, anche se il Comune, in teoria, potrebbe ancora appellarsi. Non so se reggerei…”.

Il suo sorriso nasconde più d’una punta d’amarezza.

“La decisione del Tar dimostra che il nostro era un progetto valido, per questo ringrazio chi l’ha redatto: l’architetto Chiara Mazzarella. E Dario Mirri, che sin da subito è stato categorico sul fatto che avessimo ragione. Avevamo un accordo dal 2018, poi è stata solo burocrazia. Ma sa qual è la cosa che mi ha infastidito di più?”.

Quale?

“Che qualcuno potesse pensare che stavamo chiedendo un trattamento di favore. Sbagliato”.

Ha avuto modo di confrontarsi con il sindaco Orlando? Che ruolo ha giocato in questa vicenda?

“Io e la mia famiglia proviamo gratitudine per la sua storia. Ma qui c’è un dato di fatto: che noi siamo stati costretti a fare causa al Comune per vederci riconosciuto un diritto, una cosa che ci spettava”.

La burocrazia vi è franata addosso.

“In queste follie ci siamo imbattuti ovunque: da Roma a Milano, da Firenze a Como. Ma qui, forse, in modo più accentuato perché c’è un’infinità di norme che nessuno, negli anni, ha avuto il coraggio di eliminare, cambiare o rendere più comprensibili. Basti pensare al contingentamento delle licenze: è quanto di più lontano esista dal libero mercato. La cosa più insopportabile sono stati i tempi: non puoi aspettare due anni perché ti venga negata la possibilità di esercitare un diritto”.

Ha mai avuto la tentazione di lasciar perdere?

“Mai. Ho sempre voluto aprire a Palermo. E’ la città in cui sono nato, in cui sono cresciuti i miei genitori. Con le sue stratificazioni culturali e i suoi tesori nascosti, per la qualità e la quantità di attrattive che presenta, è una vera città d’arte. Più di Firenze. E in più c’è la gente: la classe media palermitana è più colta della classe media delle grandi metropoli. I palermitani conoscono Palermo più di quanto i romani non conoscano Roma: parlo di botteghe, mercati, storie… Palermo è una città forte, chi ci vive non mi è affatto indifferente”.

Ma un ostello ha pochi rapporti con la città, e molti con chi ci viene a visitarla.

“Per noi è diverso. L’idea di Ostello Bello è portare in palmo di mano tutto ciò che di buono c’è nel territorio. I nostri ostelli sono esseri viventi che affondano le proprie radici nella comunità che li circonda. Un luogo dove si possa far cultura e accogliere persone, in una visione più contemporanea. Quando abbiamo inaugurato la struttura di Milano, dodici anni fa, sembrava che stessimo aprendo un centro sociale. I “vicini” erano preoccupati…”.

E invece?

“All’interno di Ostello Bello convivono due anime: da una parte i viaggiatori, dall’altra quelli che noi chiamiamo locals, la comunità locale. Lo strumento con cui mettere in collegamento queste due anime è la cultura. Per questo ci sarà un bar aperto al pubblico: è molto più facile conoscersi durante un concerto, la degustazione di un prodotto locale, o un banalissimo torneo di ping-pong. A me piacciono gli esseri umani”.

Cosa la rende più orgoglioso del suo lavoro?

“I nostri ospiti, con cui ci lega un rapporto d’affetto. E’ bellissimo pensare che sotto lo stesso tetto dormano duecento ragazzi da ogni parte del mondo. Un intreccio di biografie che muta continuamente. Chi viaggia per ostelli sa, magari, che al martedì può capitare un’atmosfera fantastica, al venerdì un po’ meno. Perché cambiano le persone che vivono la struttura in quel momento. Ostello Bello è apertura, inclusione. E la condivisione porta con sé il rispetto delle regole e degli altri”.

Lei crede che le potenzialità di Palermo vengano percepite anche fuori da Palermo?

“A Milano e in Italia, da un punto di vista turistico, c’è una fortissima attenzione per Palermo. Non c’è una sola persona che l’abbia visitata non suggerisca a un collega o a un amico di andarci. Palermo è di una bellezza disarmante. Fino a qualche anno fa credevo stesse per sbocciare: poi m’è capitato quello che m’è capitato…”.

Gli imprenditori Annibale Chiriaco e Alessandro Anello, quest’ultimo nelle vesti di consigliere comunale, si sono spesi per evitare un altro caso Decathlon. Anche in quel caso il Comune negò i permessi di costruire e l’azienda è andata altrove.

“Fa piacere aver trovato delle persone sensibili. Il nostro è un bel prodotto, e una buona occasione per tutti: non capita tutti i giorni trovare qualcuno disposto a investire dei soldi, creare posti di lavoro, dare un respiro internazionale alla città. Alla fine non c’è stato bisogno dell’intervento del Consiglio comunale, ma sono grato a tutte le persone che si sono attivate per smuovere le acque, per fare in modo che la nostra vicenda non passasse inosservata. Noi siamo una piccola impresa, ma possiamo fare del bene e ce la metteremo tutta. Il Comune ci ha messo il bastone fra le ruote, ma qualcun altro, per fortuna, ha provato a impedirlo. In città conosco parecchi ragazzi che gestiscono ostelli. Non faremo nulla di diverso. Forse lo faremo in maniera più organizzata”.

Non appena sarà finita la pandemia…

“Il Covid è una disgrazia, una tragedia da un punto di vista economico. Noi viviamo di assembramenti, invitiamo sei persone che non si conoscono a dormire nella stessa stanza e usare lo stesso bagno. Veda un po’ lei… Però sarei più preoccupato se lavorassi nella ricettività business: a Milano ci sono centinaia di alberghi che campano di gente che si sposta solo per lavoro. Noi, invece, apparteniamo alla categoria leisure: i nostri ospiti vengono nelle città per turismo. E’ un settore che rinascerà, anche più forte di prima. La settimana scorsa Booking.com ha fatto il record in Borsa nel suo momento peggiore: vuol dire che, a parte me, ci crede anche qualcun altro”.