Che mi succede? Perché non mi commuovo di fronte alla povera madre che accetta di farsi rompere le ossa per garantire un futuro ai figli? Perché il mio cuore non gronda tristezza leggendo le gesta eroiche di un disperato che si fa spaccare il perone con un trolley da 25 chili? Perché un uomo come me, disposto a commuoversi per una canzone, per la scena finale di un film d’amore, per due righe di un libro scritte come si deve, non entra in sintonia col dolore (soprattutto fisico) di uomini e donne che dentro a questo grande circo delle truffe alle assicurazioni si facevano macellare le ossa per 300 euro?

Conoscevo un ragazzo, faceva il garzone in una macelleria, il padrone l’aveva messo in regola. Guadagnava poco più di mille euro al mese. Un giorno lo vidi entrare al bar con la bocca maciullata (non aveva più i denti) e col gesso alla gamba. Camminava con le stampelle. Un incidente in moto, mi raccontò. Non ci credetti. In realtà si era offerto come vittima a una banda di macellai spaccaossa: gli avevano promesso tremila euro, ne vide quattrocento a stento.

Non viveva nella miseria, il suo lavoro gli consentiva, soprattutto rispetto alla giovane età, un tenore più che dignitoso. Non era stato il bisogno a spingerlo a farsi torturare. Era stata la miseria intellettiva, l’ignoranza nera, la sottocultura da tramandare di padre in figlio nei secoli dei secoli, la scoperta che per avere il telefonino nuovo o il motorino è sufficiente passare da una sofferenza tutto sommato trascurabile come la rottura di un braccio o di una gamba.

Davvero pensate che io possa commuovermi per una madre – una madre – che mostra ai giornalisti (a proposito, brava come sempre Romina Marceca di Repubblica) le sue ferite offrendo come giustificazione la necessità di garantire un futuro ai figli? Ma di quale futuro parla, gentile signora? Quel futuro quantificato in denaro e non in esempio, figlio di un dolore autoinflitto per denaro (vi viene in mente pornografia peggiore di questa?) e visto come soluzione per non lavorare? Di questo parla? È davvero questa l’eredità che vuole lasciare ai suoi pargoli?

È vero che fra i disgraziati reclutati dalla banda c’era gente ai margini – tossici e alcolizzati, disperati veri per i quali è doveroso sospendere il giudizio perché ai limiti dell’incapacità di intendere e volere – ma è anche vero – e chi lo nega non è onesto con se stesso – che il sottobosco dei malridotti verso i quali in questi giorni mostriamo la nostra empatia è popolato anche da miserabili portatori di una cultura intrisa di disvalori, autorevoli rappresentanti della Palermo peggiore che vi possa venire in mente, assai più vicina alle vostre belle case di quello che siete disposti a pensare.

Io in questa storia, ve lo dico con la sincerità di cui sono capace, non vedo vittime e carnefici. Vedo solo una banda in cui stento a distinguere gli uni dagli altri, vedo gente che sguazza nello stesso brodo di oscena ignoranza, figlia di un dio minore e di una subcultura che non morirà mai.