Cultura. Anche la destra ha diritto a proporre i suoi schemi

Ferrara, fondatore de Il Foglio

L’idea di una egemonia culturale della destra italiana oggi è posticcia. Per l’egemonia non serve lo spoils system dopo una tornata elettorale vinta, tantomeno pasticci procedurali e appropriazioni indebite di cariche varie, servono generazioni di poesia arte letteratura musica teatro e idee, serve un conformismo di ceto che attraversa i confini, si fa disciplina di gruppo, anima individuale, esemplare, e il tutto si genera nella costruzione di miti, colori della storia, guerre vinte o perse, epopee come la Spagna e l’antifascismo, Guernica o Robert Capa, o l’opposto simmetrico di tutto questo come negli anni Trenta popolati di miti nazionali e fascisti, di movenze e dinamiche culturali che avevano radici popolari e penetravano in profondità anche nell’accademia, nella filosofia, nel sentimento del tempo o Zeitgeist, eccetera.

Però la destra, anche se per l’egemonia, parolona smisuratamente sproporzionata alla bisogna, se ne parlerà eventualmente fra vent’anni, può chiedere e ottenere rispetto e curiosità per quel che è o potrebbe essere, per quel che possono rappresentare nel sistema del potere culturale nuove generazioni di intellettuali e maschere di un impianto di sensibilità non comune e non prevalente fino a ora. In premessa, ovviamente, devono riconoscere qualche debito importante verso chi fino a ora ha, come si dice, tirato la baracca, condotto il gioco. Se tutto si riduce allo scambio di invettive sguaiate sul poltronarismo, su questa o quella nomina, da una parte e dall’altra, ne perde la credibilità di tutto l’ambiente dei facitori di arte, scienza, e di ogni talento estetico, filosofico, letterario dovunque collocato e coltivato. Durante il fascismo, quello vero, nei documenti grezzi della polizia di un tale, antifascista, si diceva che era un “ascoltatore di ‘Radio Londra’” e che era “dedito alla stretta di mano”: dedito, proprio così, come se fosse cocaina. Ora io sono “dedito” (alla stretta di mano) e, siccome vivo in campagna e sono spesso in macchina, sono anche ascoltatore attento di Radio3, il cui palinsensto conosco e pratico fedelmente , dalla rassegna stampa al concerto del mattino alla insieme interessante e molto lagnosa “Tutta la città ne parla”, fino all’ottime “Radio3 mondo” e “Radio3 scienza”, per poi passare alla classica di mezzogiorno e a “Fahrenheit”, la rubrica dei libri che alterna eccellenti conduttori e voci troppo proclive al compiacimento di piccolo ceto e alla retorica sentimentale per essere sopportate, e per finire “sesto grado” con grande scelta di musica a sorpresa, la rubrica di cinema e la deliziosa “Radio3 suite”. Posso garantire, basta una stretta di mano, che c’è un sacco di roba buona e molto, moltissimo irritante conformismo ideologico da egemonia coatta, immigrati rispetto dell’altro violenza contro i deboli piove governo ladro solidarietà pace e pacifismo sentimento e sentimentalismo eccetera, e che non di rado verrebbe da buttarsi contro una quercia o un guard rail per la rabbia, ma nell’insieme si vede che quello è un prodotto maturato nei tempi e conforme, appunto, a una egemonia saldissima e anche se vogliamo soffocante di idee ricevute e qualche volta di bêtise da farti cadere le braccia.

La sinistra che ora fa le barricate contro l’assalto egemonistico della destra alla cultura, e si agita e mobilita per comprensibili e incomprensibili ragioni, dipende dal contesto, dovrebbe prima di tutto però riconoscere che il suo primato indubitabile non è sempre radicato nell’eredità migliore del passato europeo e italiano e che c’è un semplice diritto a esistere e lavorare nell’ambito culturale per la destra e le sue maschere, diritto che per la gauche è da riconoscere proprio in nome dei propri schemi e miti, prima di tutto il rispetto dell’altro, la curiosità per l’altro, la differenza come criterio essenziale contro ogni rigurgito identitario astratto, un certo universalismo cosiddetto dei valori. Sarebbe un passo avanti se la destra e la sinistra, in questa battaglia, non mettessero in campo i modi della zuffa.

Giuliano Ferrara per Il Foglio :

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