Ha l’aspetto di un ragazzo per bene. Con la valigetta in mano lo scambieresti per un avvocato alle prime armi, uno di quelli che “mamma mia quanta gavetta per affermarsi”. Incravattato, di bell’aspetto, quarant’anni. Danilo Iervolino, dietro la maschera del perbenismo, nasconde un animo rivoluzionario. E dietro la ventiquattr’ore che non compare mai, si cela il presidente di Pegaso, la più grande università telematica italiana (“Ma siamo anche il primo gruppo d’Europa” ci tiene a sottolineare): 74 sedi, 150 poli didattici, 15 sedi d’esami. Sono numeri che impressionano. Lui è il fautore, il creatore, il fondatore – dodici anni fa – di questo impressionante contenitore di sapere, che ora vuole espandere anche all’estero: “Abbiamo già delle sedi in Bulgaria e a Malta, in Russia e in Brasile abbiamo aperto da poco. Ora ci piacerebbe la Cina”.

In Italia i giovani rimangono “giovani” fin troppo a lungo. Iervolino li batte tutti per precocità. Il boom otto anni fa, durante una cena improvvisata con l’associazione degli italo-americani a New York: “La Pegaso esisteva già. Andammo negli Usa per parlare con le più importanti università dello stato, per provare a fare qualcosa insieme, ma nessuno ci filò. Poi durante quella cena venni invitato a parlare in pubblico e l’indomani il New York Times pubblicò un articoletto con la mia foto. Una roba minuscola. Nello spazio del viaggio che mi riportava in Italia, da brocco divenni un guru. I tg e i giornali parlarono di me per un paio di mesi. Prima non lo avevano mai fatto, perché la resistenza al nuovo e al cambiamento è un dramma del nostro paese”.

Danilo Iervolino si scaglia contro la politica (“Dobbiamo gridare vendetta per il totale disimpegno dei nostri rappresentanti nazionali”), tira fuori la cazzimma napoletana, il posto da cui proviene e da cui è atterrato a Palermo per la presentazione del libro di Elio Pariota, direttore generale di Pegaso. “Questo è un paese col sangue marcio, perché la gente vuole mantenere a tutti i costi il proprio posizionamento sociale e non dare agli altri, magari più giovani e talentuosi, la possibilità di affermarsi. E’ per questo che in Italia si sta consumando un violento scontro generazionale. In tutti i settori – riflette Iervolino –. Prendete i docenti. Una volta misuravano la propria autorevolezza in base al numero dei bocciati. Ma non capiscono che se promuovi solo il 10% dei tuoi alunni, vuol dire che hai fallito, non sei riuscito a trasmettere il sapere”.

Il divario si crea e si ricrea. Non sulle basi del merito – concetto spesso riposto nello scantinato – ma di alcune resistenze da parte di “personaggi grigi e refrattari”. Così un modo per emergere, per diventare cittadini attivi è rappresentato dal web. Avete presente Umberto Eco secondo il quale il web aveva dato diritto di cittadinanza anche agli imbecilli? Iervolino stravolge il concetto, lo capovolge: “Il web è il mezzo più rivoluzionario, democratico e meritocratico che esista. Dove ognuno di noi può provare ad affermarsi senza barriere. Siamo più interessati a ciò che dice il vicino, piuttosto che alle notizie date dai giornali prezzolati dallo Stato. Non riescono più a orientare l’opinione pubblica. I social, invece, sì. Sono un’espressione di vita libera e democratica a cui nessuno di noi deve assolutamente rinunciare. Non devono rappresentare una linea di confine solo per gli intellettuali. Anche chi è “asino” deve poter esprimere una forma di cittadinanza attiva del proprio pensiero. Io sono interessato ad ascoltare il popolo. Anche chi non è una “cima” può avere un pensiero vivo ed effervescente, capace di rivoluzionare il mondo”.

Anarchico nell’impostazione, Iervolino si ritrova alla grande in questo fluido vitale delle nuove generazioni. L’università può aprire, può ascoltare, capire le esigenze del territorio (in linguaggio accademico la chiamano “terza missione”), deve rappresentare motivo di riscatto per tutti coloro che possiedono un talento: “Gli italiani sono quelli che si iscrivono meno alle università. Sapete perché? O sono le università a respingerli o sono loro a considerare gli studi una perdita di tempo, perché troppo lontani dal mondo delle professioni. Qui si inserisce Pegaso: abbiamo fatto irruzione in un mondo incrostato. Siamo cresciuti in modo violento, perché noi non vogliamo formare dei robot che lavorano, ma persone felici. Che imparino a rapportarsi con l’inter-culturalità, che possiedano un’apertura mentale, che abbiano brio. L’omologazione e la tranquillità non portano da nessuna parte. Io preferiscono uno squattrinato, ma con la capacità di pensare e agire velocemente, a uno studente che sa le nozioni a filastrocca”.

“Chi vuole fare cose fighe o cool, le fa con noi perché siamo i più bravi in questo ambito – si auto elogia Iervolino –. Siamo l’innovazione, siamo traversali e ci colleghiamo alle grandi opportunità che offre il nostro periodo”. Il resto è fuffa e (banale) perdita di tempo.