L’accordo fra Letta e Calenda, che esclude i candidati “scomodi” nei collegi uninominali, varrà anche per Luigi Di Maio. Ma all’attuale Ministro degli Esteri, fuoriuscito dal Movimento 5 Stelle, è stato offerto un paracadute dal Pd: l’idea è di ospitarlo all’interno delle proprie liste in un collegio proporzionale. Rischia così di rimanere in soffitta il suo “Impegno Civico”, il partito col simbolo dell’ape, battezzato un paio di giorni fa (anche perché sarebbe un’impresa scomoda cercare di superare lo sbarramento del 3%): “Luigi Di Maio non ha un voto – va all’attacco Alessandro Di Battista -. Chi conosce il fanciullo di oggi, lo evita. Trasformista, disposto a tutto, arrivista, incline al più turpe compromesso pur di stare nei palazzi. Perché il PD dovrebbe concedergli il “diritto di tribuna”, un modo politicamente corretto per descrivere il solito paracadute sicuro, tipo la Boschi candidata a Bolzano nel 2018? Perché? Che rassicurazioni ha avuto mesi fa, quando portava, insieme a Grillo, il Movimento 5 Stelle tra le braccia di Draghi? Queste sono domande che dovrebbero avanzare i giornalisti. Ma, salvo rare e preziose eccezioni, oggi i giornalisti a Di Maio non chiedono nulla. Lo trattano come Mazzarino nonostante abbia dilapidato un consenso colossale costruito con il sudore della fronte anche (e soprattutto) di persone che non hanno chiesto mai nulla in cambio”.