“Senti, Cozzamara, scusa. Dieci minuti fa circa ho ammazzato tua moglie. Abbi pazienza, scusa… gli ho detto scusa. S’è incazzato!”. Leggendo le scuse di Luigi Di Maio sulla vicenda dell’arresto dell’ex sindaco di Lodi viene in mente la scena del film “Johnny Stecchino”, quando Johnny racconta di avere ucciso per sbaglio la moglie del boss suo acerrimo nemico.

“Ho contribuito ad esacerbare il clima”, dice oggi l’attuale ministro degli Esteri. E che sarà mai. Abbi pazienza, ha chiesto scusa Di Maio. “I diritti sono diritti”, dice ancora, completando così il suo personale percorso: da fervente rivoluzionario che doveva azzerare i costi della politica a primo professionista della politica che dalla politica trae i suoi mezzi di sostentamento. Un percorso parallelo a quello del suo Movimento 5 Stelle, diventato ormai a tutti gli effetti partito apparato.

Sulle scuse di Di Maio – non poteva essere altrimenti – si è aperto un dibattito che ha visto una parte, tra addetti ai lavori e no, apprezzare quel dietrofront. Insomma, Di Maio, secondo alcuni, sarebbe da apprezzare, quasi da lodare, per avere avuto il coraggio di ammettere i propri errori. Ed è partita la solita solfa: Di Maio ha ammesso di avere sbagliato, gli altri invece non lo avrebbero mai fatto.

Alt. Non è proprio così. Di Maio senza quel clima che ha contribuito ad esacerbare – come lui stesso ha affermato – non sarebbe Di Maio. Senza quella macchina del fango, che più degli altri ha alimentato, il M5S non avrebbe mai raggiunto percentuali così alte da diventare la prima forza di governo. Di Maio diventa Di Maio, ricopre incarichi su incarichi, grazie a un soggetto politico che ha raggiunto numeri eccezionali puntando sull’indignazione di quella abbondante parte di elettori già piena di pregiudizi e odio atavico nei confronti della politica e di qualsiasi esponente politico.

Un’indignazione fomentata, appunto, dalle condanne di piazza e dalle gogne messe in piedi proprio da Di Maio e i suoi compari. Altro che diritti. Senza quel clima esacerbato Di Maio probabilmente venderebbe ancora bibite allo stadio, Alessandro Di Battista farebbe il bullo fuoricorso, Giancarlo Cancelleri continuerebbe il suo dignitoso lavoro di magazziniere. E così tanti altri (e altre) come loro. Oggi, invece, Di Maio si accorge dell’esistenza e del valore dei diritti e con quella lettera di scuse pubblicata sul Foglio intende mettere tutto a posto. E viene in mente la scena di un altro film, “Il 7 e l’8”, di Ficarra e Picone, quando Tony Sperandeo dice “tutto a posto a minchia”.