Fabio Giambrone, il vicesindaco di Leoluca Orlando Cascio, avrebbe voluto fare le primarie per prendersi lo scettro. Lo scorso dicembre, mentre il centrosinistra vagava nel buio alla ricerca di un’eredità, si era detto pronto a competere. Ma Orlando non lascia eredi. Non ha figli. Né una lista a suo nome. La coalizione di Franco Miceli, raccogliticcia attorno a una proposta civica, difficilmente riuscirà a strappare un posto al ballottaggio contro l’armata Lagalla. Sull’architetto grava il peso della ricostruzione. L’obbligo di affrancarsi da un’esperienza di governo che negli ultimi anni ha provocato disastri e disincanto (nell’elettorato di sinistra). Altro che visione. Di Orlando, in quest’agglomerato civico-partitico destinato alla sconfitta, non è rimasta traccia.

Il Pd, parecchio amareggiato per le scelte di Miceli sugli assessori designati, offre qualche briciola di orlandismo nella propria lista: c’è Tony Sala, l’ultimo degli assessori ai cimiteri schierati dal professore (e apprezzato per la cordialità anche da Salvini, durante una delle visite ai Rotoli). E c’è, ma non nel ruolo di capolista, Fabio Giambrone. Il vicesindaco uscente. Un numero fra tanti. La candidatura a Sala delle Lapidi che Orlando, lo scorso 3 maggio all’apertura della campagna a Villa Zito, ha definito “un atto di grandezza”, per Giambrone rischia di essere un salto nel vuoto. O comunque un ripiego. Dipende. Il fratello di Francesco, che nel frattempo ha preso il volo per il Teatro dell’Opera di Roma (dopo aver guidato a lungo il Massimo), ha avuto poca fortuna nell’ultima esperienza elettorale: inserito nelle liste del Pd – dopo uno dei tanti riavvicinamenti di Orlando al partito – mancò l’elezione alla Camera.

In questi anni, però, ha sempre rivestito ruoli importanti. Non soltanto all’interno dei palazzi della politica (ha fatto il senatore, oltre che il deputato nazionale). E’ stato presidente delle Gesap, la società di gestione dell’aeroporto Falcone-Borsellino, fino all’ottobre 2018. Poi è diventato capo della Gh, la società di handling che gestisce i servizi di terra a Punta Raisi. E’ entrato a uscito dalla stanza di Orlando forte della sua fiducia sconfinata. Ha fatto parte del suo staff. Si era preparato a lungo per la staffetta. Ma è finita con una foto di gruppo disertata, a causa della decisione di Rosario Filoramo, segretario provinciale del Pd, di tenere fuori un paio di aspiranti consiglieri indicati da lui perché non c’era più posto (poi, però, sono stati riammessi). Nella lista dem ci sono un altro paio di consiglieri uscenti (Rosario Arcoleo e Milena Gentile) e qualche pezzo grosso come Giuseppe Lupo, uno dei pochissimi big ad aver accettato la sfida, in tandem con Teresa Piccione.

Alcuni pezzi dell’universo orlandiano si ritrovano qua e là nelle altre liste: la presenza più eloquente è quella di Giusto Catania, che per la Sinistra Civica Ecologista affianca Gioacchino Scaduto, un magistrato in pensione ripescato per aver firmato il rinvio a giudizio di Marcello Dell’Utri nel processo che costerà all’ex senatore di Forza Italia la condanna per concorso esterno. Catania, per inciso, è stato il braccio armato di Orlando nel settore della viabilità e dei tram. E’ stato il protagonista delle ciclabili e della mobilità alternativa. Della zona a traffico limitato anche la notte. E’ il perfetto interprete della ‘visione’ del sindaco uscente per quanto riguarda il ciàffico.

Ma è pur sempre la figura di Orlando – divisiva e ingombrante – che ha fatto progressivamente allontanare da Miceli anche i Cinque Stelle. O una parte dei Cinque Stelle. E reso chiara la missione: Oublier Orlando (Dimenticare Orlando), per citare l’opera di Edmonde Carles-Roux, Oublier Palerme, del 1966. Nella lista M5s, che ha preso forma a fatica, non compare il nome di Giampiero Trizzino, deputato regionale e, a lungo, candidato in pectore. Fino a quando l’iniziativa di alcuni parlamentari nazionali, tra cui Steni Di Piazza, ha portato all’indicazione di Miceli dall’alto. Senza condivisione con la base. E’ in quel momento che i grillini coi voti hanno fatto mezzo passo indietro. Evitando di esporsi. Oggi contestano a Miceli le incertezze sugli inceneritori. E, in generale, non faranno sconti. “Ci siamo accollati i problemi del Pd”, rilanciano a microfoni spenti. La capogruppo Viviana Lo Monaco, dopo aver appreso di essere solo la terza in lista, minaccia di non fare campagna elettorale. E l’assessore designato in quota M5s dall’architetto – Irene Gionfriddo – è l’assistente parlamentare di un singolo senatore: il solito Di Piazza. La maretta continuerà.

Orlando ha segnato una frattura fra nuovo e vecchio. Fra politica e civismo. Fra Miceli e Ferrandelli (che si ripropone per la terza volta). Fra destra e sinistra. Il suo congedo di qualche giorno fa, alla biblioteca comunale, è stato snobbato da grosse fette della coalizione. Nonostante l’incipit: “Palermo è la città culturalmente più cambiata in Europa”. Anche dall’altra parte della barricata, gli riconoscono di aver governato bene fino a un certo punto. Poi ha perso la bussola. Ecco che uno come Lagalla, al netto degli ultimi impicci sui condannati Cuffaro e Dell’Utri, non avrà problemi a banchettare sulle sue macerie. Nonostante il centrodestra sia tutt’altro che compatto. La presenza di tre aspiranti candidati della prima ora – Varchi, Lentini e Cascio – nella squadra assessoriale dell’ex rettore, dimostrano che il percorso è stato faticoso. La presenza di vecchi reduci come Antonello Antinoro, che trascina con sé numerose vicende giudiziarie (dalle quali non è stato provato, però, alcun legame con la mafia), è il segno che la politica a Palermo la fanno sempre gli stessi.