Va bene l’indagine ma non la mancanza di rispetto. Nel corso della sua intervista a “La Sicilia”, il procuratore aggiunto di Catania Carmelo Petralia, che a 27 anni dalla strage di via D’Amelio è stato indagato dalla Procura di Messina per calunnia aggravata dall’aver favorito Cosa Nostra, è un fiume in piena quando gli viene chiesto della famiglia Borsellino e dei sospetti avanzati da Fiammetta, figlia di Paolo, sull’operato della magistratura relativamente alla gestione delle indagini sulla morte del padre: “A lei che domanda dove era lo Stato, dove erano i magistrati durante le indagini, dico dove era lei nei giorni drammatici precedenti l’assassinio di suo padre e degli altri servitori dello Stato, in quei giorni tremendi che separarono Capaci da via D’Amelio. Sa bene che fu addirittura difficile riuscire a rintracciarla per comunicarle quel che era accaduto il 19 luglio. Da allora da parte della famiglia Borsellino, l’unico vero contributo, ampio sincero e incondizionato di collaborazione, anche alla conoscenza dei fatti e alle indagini in senso stretto, è venuto dalla signora Rita, la sorella di Paolo, purtroppo scomparsa lo scorso anno e dalla sua famiglia, i signori Fiore. Tutto il resto della famiglia Borsellino è stato assolutamente assente e mi riferisco anche al fratello di Paolo Borsellino, Salvatore, che sentito come persona offesa in dibattimento nel primo processo, alla domanda dei pm se avesse qualche idea, qualche notizia, una qualche informazione da potere fornire su possibili motivazioni o altro che potesse ricollegarsi a quei drammatici fatti, rispose che non sapeva nulla. Viveva lontano – disse – e non aveva alcuna idea”. Secondo Petralia oggi l’atteggiamento è cambiato: “Oggi invece sa tutto, ha chiarissime tutte le dinamiche politico mafiose e stragiste che agitavano l’Italia in quei primi ‘90. Personalmente, dalla famiglia Borsellino non mi aspettavo gratitudine, ma il rispetto, questo sì”.