Qui non c’entrano il femminicidio (che è già discriminante il termine in sé) né il delitto ancora oggi derubricato come passionale come se la passione con uso di pistola o coltello possa reclamare uno sconto di insanità, né il me-too recitato come un mantra dall’attrice a gettone di presenza, né la rabbia delle donne piddine in crisi di rappresentanza governativa. Non drammatizziamo, è solo questione di corna, per citare Truffaut. Qui si vola basso, altro che volare alto come diceva ieri sera nel suo «Live» Barbara D’Urso, complimentandosi incredula per il beau gest di Gianluca, il marito – il cui video dello svelamento dell’adulterio della moglie, Grazia, beccata in flagranza con l’amante all’uscita dell’hotel di cintura, virale in poche ore sul web – che ha perdonato. Però bastano quei 19 minuti di televisione per fare strike di tutti quei temi di cui sopra, per ricondurre nell’alveo del più antico, barbarico, nefasto luogo comune ogni discorso di emancipazione della società cosiddetta civile, ogni teoria evolutiva dell’uomo e della donna, ogni conquista dentro e fuori dal talamo.

Specie se la storia arriva da Palermo, Sicilia, profondo Sud, e sotto le mentite spoglie di una rasserenante parabola di remissione del peccato, di generoso condono, di benevola grazia («scagli la prima pietra…», cita lui perché a qualcuno si dovrà pure ispirare) s’imbastisce un teatrino più da sedotta e abbandonata che da ragazza con la pistola. Siamo alle solite. Davanti al consueto, folcloristico parterre di ospiti/opinionisti con barbe blu e tatuaggi così vistosi da fare provincia, Barbarella racconta l’incredibile favola di San Valentino di lui e di lei ricongiunti sull’altare di un amore che non si chiede perché sia andato a schiantarsi per diversi pomeriggi sul materasso di una camera affittata ad ore in un tre stelle familiare bordo autostrada. E che dovesse o comunque volesse chiederselo non dovrebbe certo farlo in tv. Lui domanda quasi di continuo alla fedifraga assolta di rassicurarlo sui suoi sentimenti («tu mi vuoi bene, vero amore mio?»), lei si premura a garantirgli quell’affetto magari sgualcito ma ormai imperituro – «certo che ti voglio bene» – con lo stesso quasi afasico trasporto di una poesia imparata a memoria a scuola, lo stesso moderato entusiasmo che tirerà fuori anche quando, incalzata da lui per sottoscrivere, a dieci anni dall’altare, quel vincolo «davanti a tutti i telespettatori», gli ridirà di sì.

Di quei 19 minuti di tv lui è il protagonista e lei la comprimaria, lui parla e lei annuisce, lui racconta e lei conferma. Barbara commenta e giudica: lui è un grande, naturalmente, lei viene bacchettata, non si fa e non le venga in mente di farlo più («adesso però vestiti carina per lui visto che lo facevi per l’amante»). Il parterre è un coro greco da Bagaglino. Lui si fa addirittura reporter di se stesso quando con le troupe cammellate di Canale 5 inscena una ricognizione sul «luogo del delitto», la famigerata camera 6 del tre stelle, la stessa, per crudeli e bizzarri capricci del destino, dove s’era consumato dieci anni prima anche l’imeneo e, dieci anni più tardi, il clandestino amplesso, si spera quantomeno più stuzzicante. Bacio della pacificazione e brindisi finale offerto dell’hotelier.

C’è un ultimo colpo di scena e arriva all’epilogo. Lui cerca lavoro. Sa che la tv è un ufficio di collocamento ad hoc. «Ovunque vada mi riconoscono», fa lui con l’aria di chi con quel video ha salvato sì il proprio matrimonio ma ha messo a rischio la sopravvivenza. E se il riciclaggio nell’indotto televisivo è appannaggio dei “vipponi” del «Grande fratello” perché un’occupazione qualsiasi non dovrebbe trovarla anche il personaggio di piccolo cabotaggio? Attendonsi nuove ospitate e nuove inserzioni. Le vie della tv sono infinite.