Dal momento che non le poterono fare il Festino (il 14 luglio, causa Covid-19, perché era vietato un assembramento di trecentomila fedeli circa) e nemmeno l’«acchianata» (il 4 settembre, sempre causa Covid-19 perché è complicato non assembrarsi in cammino ma anche per via delle transenne che bloccano la vecchia salita di ciottoli pedonal-devozionali), a Santa Rosalia quest’anno, come si dice a Palermo, quanto meno le hanno «tirato un film». Si intitola «Rosalia a Danisinni», lo ha scritto e diretto l’attore e regista palermitano Gigi Borruso, lo ha prodotto il Museo Sociale Danisinni attraverso il suo braccio artistico DanisinniLab, con la collaborazione della Piccola Scuola di Cinema Indipendente “Piano Focale”. Puro volontariato insomma, e pura fantasia. Se volete anche pura utopia in una città dove, più di ogni altro luogo, ogni utopia utopia rimane.

Danisinni è un “non luogo”. Dovrebbe essere un quartiere (quasi duemila abitanti), potrebbe essere una borgata. Niente di tutto questo. In realtà Danisinni è uno sprofondo, una sorta di conca scavata nel cuore della città antica, a due passi dal Castello della Zisa, da piazza Indipendenza, limitrofa a via Colonna Rotta e a via Cappuccini, come se un meteorite un giorno avesse colpito Palermo e scavato un grande fosso, un’enorme buca, proprio lì. Non è, per dire, il Borgo Vecchio o l’Uditore, né i moderni Cep o Zen. È altro, è un’enclave fiera d’essere enclave e i suoi abitanti si offendono pure se – metti caso – scoppia una bombola del gas o ammazzano uno in via Colonna Rotta e i giornali scrivono che è successo a Danisinni.

A Danisinni ci sono orti e giardini, coltivazioni di broccoli e melanzane, case basse e “malasèni” altrettanto, scale che vi scendono (altrimenti che sprofondo sarebbe?), stalle con animali che se ci vai la mattina presto vedi sbucare cavalli che fanno da traino alle carrozze e che per qualche minuto vengono lasciati a sgranchirsi lì, tra i cardi, dopo il custodito riposo notturno. Ci sono strade che non sembrano strade anche perché in alcune non c’è un traffico normale e perché altre non “spuntano”, non portano da nessuna parte. Non capisci bene se è un girone infernale senza fuoco, clangori e urla, assopito nella dimenticanza di sé e degli altri, o un cartonato da scenografia favolistica popolare.

Quale tra le mille anime di Palermo viene fuori da «Rosalia a Danisinni» che avrà la sua première stasera – venerdì 4 settembre – alla Fattoria Sociale Danisinni con doppia proiezione (alle 19.30 e 21) e poi sarà proposto nello Spazio Quaroni in via Maqueda il 13, 20 e 27 settembre alle 18.30? «Quella del disincanto – dice Borruso, quella sospesa tra il desiderio e lo scetticismo, tra l’aspirazione e la sfiducia, tra l’ambizione e la rassegnazione».

Giocato sul doppio binario del teatro e della vita vera che si servono del cinema come strumento tecnico, espressivo: c’è una compagnia di teatranti che percorre vie e viuzze di Danisinni in attesa di rappresentare la storia di Rosalia, il rifiuto delle nozze, l’eremo montano, la morte e la salvazione dalla peste. E ci sono gli abitanti dell’enclave, adulti e bambini, con le loro aspettative disattese, i loro sogni quasi mai realizzati, c’è il senso malinconico dell’utopia del teatro e quello altrettanto mesto delle fede, della speranza che si scontra alla fine con un «noi che possiamo farci? niente».

Nessuna traccia di neo-neorealismo, per fortuna. Borruso lo schiva come schiva pure il “messaggio sociale”. «Avrebbe distolto dal senso poetico del film – dice – sarebbe stato un grido fuori luogo, anche se l’urlo in realtà è soffocato alle orecchie delle istituzioni che da dieci anni qui non riescono nemmeno a far riaprire un asilo e un consultorio, roba minima di sopravvivenza civile, così come, d’altronde, nascosta agli occhi del resto della città è la vita di Danisinni, sì, una vita nascosta».

Un lavoro di scrittura e di produzione in quarantena, riunioni attraverso il web, poi cinque soli giorni di riprese “distanziate” lavorando il quadruplo di quella che è di solito la tabella di marcia del cinema “vero”, ognuno con mezzi propri, dagli attori professionisti all’autore-esecutore della bella ballata-leit motiv Giacco Pojero, agli abitanti stessi di Danisinni, scelti tra quelli che hanno frequentato il laboratorio teatrale che Borruso dirige da due anni. Scenografia naturale lo sprofondo, sotto il quale scorre perfino un fiume interrato, un Acheronte invisibile e silente come la vita che lo sovrasta, quel “non luogo” dove tutto è possibile, dove puoi ancora stupirti se un cavallo entra placido sul set e mangia una pagina del copione dimenticato su una sedia, dove le discese e le risalite, certe strade che girano a gomito e quelle che non “spuntano” non sono contemplate nemmeno su Google Maps. Con buona pace di Rosalia, donna e santa, e dei suoi miracoli per quanto qui, fatti salvi rispetto e devozione, possano apparire impossibili.