La scena è tutta loro: di Totò Cuffaro, presidente della Regione amato e vituperato, da poco segretario regionale della Dc nuova; e di Mirello Crisafulli, uno col guizzo, fondatore del Partito Democratico, voce (quasi) sempre fuori dal coro. Due che hanno tanto da raccontare, ma soprattutto possiedono una dote: “Saper ascoltare”. E’ una delle cose che li accomuna, oltre a un senso della scena quasi prodigioso (ci torneremo). Uno dei momenti più alti della prima edizione del Barbablù Fest, nato da un’idea di Pietrangelo Buttafuoco, è stato il confronto fra “due irresistibili mostri sacri della Prima repubblica”, moderato da Giuseppe Sottile, andato in scena questa sera nei giardini del museo di Aidone. Nel cuore della Sicilia che si è prestato a meraviglia, dal 19 agosto, a un festival accattivante di teatro e di musica, di storie (al plurale) e di risorgimento. “Sono felicissimo perché abbiamo ogni sera spettacoli di alto livello – dice Buttafuoco – La cosa che mi affascina è che la gente che viene lo vive come un privilegio. Un signore che arrivava da Milazzo, una sera, ci ha chiesto una mano perché non riusciva a trovare un posto dove dormire: gli hotel in zona erano tutti pieni”.

Cuffaro e Crisafulli sono la politica catapultata in mezzo all’arte e alla cultura: “Il primo titolo che mi era venuto in mente era “I vicerè” – spiega Buttafuoco – Ma di vicerè, capaci cioè di stare sopra al re, in Sicilia ne abbiamo soltanto uno: Gianfranco Miccichè. Mi serviva un altro protagonista con cui poter declinare l’iniziativa al plurale… Il problema – chiarisce lo scrittore – era trovare delle persone in grado di declinare i canoni della letteratura secondo le chiavi dell’attualità e della scena. Così ho pensato di chiamarla ‘Gli zii di Sicilia’, affidandomi a questi due straordinari protagonisti che, oltre tutto, sono coerenti con lo slogan del festival: ossia, ‘la testa ci fa dire quello che il cuore vuole’”.

Cosa c’entra la politica?

“La testa è il luogo per eccellenza della politica”.

Se fosse un talent le chiederebbero: perché proprio loro?

Pietrangelo Buttafuoco

“La politica è scena, rappresentazione. La nostra identità – prima greca e poi saracena – è stata costruita attraverso un concerto corale dove, attraverso il ragionamento, si arrivava alle visioni e alle decisioni. Cuffaro e Crisafulli sono due personaggi che, bene o male, hanno realizzato delle cose. Mi sono stupito nell’aver scoperto qualche giorno fa, all’inaugurazione del museo di Piazza Armerina, che il primo finanziamento fu erogato proprio dal governo di Totò Cuffaro. Da un lato c’è Palazzo Trigona, dall’altro il celeberrimo outlet di Agira, su cui – ne sono certo – avrà influito Mirello Crisafulli. Ma potrei parlare anche dell’università Kore di Enna. Sono cose che nascono grazie alla politica. Beati i monoculi in terra caecorum”.

Cuffaro non è più presidente dal 2008. Segno che queste visioni impiegano del tempo per diventare azioni.

“In Sicilia siamo continuamente funestati da opere incomplete. Ma l’Isola è quel posto dove un imprenditore si trova sempre stretto nella morsa di due lame: da un lato la criminalità organizzata, dall’altro la magistratura. O finisci ammazzato, o finisci castrato. Noi facciamo i conti con una realtà particolarmente pietrosa”.

Qual è il legame di questi due politici con la scena, con la letteratura?

“Si tratta di due protagonisti irresistibili che io ho visto all’opera anche dal punto di vista scenico. Non potrò mai dimenticare la volta in cui a Roma, nel 2010, mi ritrovai all’anteprima del film “La bella società” diretto da Gian Paolo Cugno, in cui Mirello – con grande senso di autoironia – interpretava il ruolo del capo mafia. In sala, in questa cerchia di amici che si erano mobilitati per l’anteprima, c’era Totò Cuffaro che protestava col regista e il produttore: diceva che quel ruolo spettasse a lui”.

Ritrovarsi di fronte due attori e non saperlo…

“In realtà li ho corteggiati a lungo. Quando eravamo al Teatro Stabile di Catania col maestro Dipasquale (il direttore artistico del Barbablù Fest), volevamo affidargli quella meravigliosa piece teatrale di Jean Claude Brisville – in italiano ‘A cena col diavolo’ – che tratta il dialogo tra Fouché e Tayllerand dopo la sconfitta di Napoleone a Waterloo. Un’apoteosi della conversazione politica. Ora l’intento è far venire fuori questa loro capacità di essere radicati. E tutti vogliono venire a vederli in questa lettura de ‘Gli zii di Sicilia’. Ma siccome non possiamo più contenere le richieste, abbiamo deciso che trasmetteremo l’evento in diretta Facebook”.

C’è qualcosa che l’accomuna a questi due mostri della prima repubblica?

“Io ho una formazione culturale e politica totalmente opposta alla loro, che sono due giganti del centrosinistra. Uno, con un ruolo di livello nazionale e non solo siciliano, è stato protagonista della fondazione del Pd, facendosi carico del passaggio dal Partito Comunista al Partito Democratico. Cuffaro sarà pure andato con Berlusconi al governo, ma è radicato nella storia della sinistra Dc, viene fuori da una scuola che è quella della militanza sociale dei cattolici. E’ uno dei più acerrimi avversari della destra, del sovranismo. Questo, però, non ha mai inficiato la considerazione nei confronti di due che hanno saputo assomigliare ai siciliani”.

Secondo lei possono avere ancora delle velleità politiche?

“Questo non lo so. Ma sicuramente hanno una qualità: saper ascoltare. E poi sono due che mi hanno fatto vivere una giornata di assoluto divertimento”.

Ce la racconti.

“Un giorno Mirello mi chiama e mi dice: ‘Facciamoci una passeggiata’. Lo vado a prendere, ci mettiamo in macchina, mi indica la strada e ci ritroviamo in un posto meraviglioso, uno di quelli che racconta la potente capacità matriarcale della Sicilia, con le sue piante, i suoi frutti, l’orgoglio della campagna. All’improvviso sono al centro di una tavolata con tutti gli altri zii di Sicilia, protagonisti di tutte le comunità politiche: da Forza Italia al Partito Democratico, passando per i cattolici e i democristiani. C’erano davvero tutti. In un attimo, mentre parlavo con uno di questi zii straordinari, Pino Firrarello, mi ritrovo presidente della Regione. Era il momento in cui la Sicilia stava per liberarsi dalla sgangherata esperienza di Crocetta…”.

Quindi le fecero la proposta…

“Ma era una cosa in assoluto divertimento. Io, rivolgendomi a Cuffaro lì presente, obiettai: “Ma come Totò, quando ci scrivevamo le lettere dal carcere, mi dicesti: ‘non lo fare mai, perché a io sono finito in carcere, a te ti ammazzeranno…’”. Fare il presidente della Regione siciliana non è il mio mestiere. Io sono preso d’amore per la Sicilia, la amo tantissimo, ma lo dimostro in altri modi. So perfettamente che con gli strumenti che abbiamo è impossibile governare… Non fosse altro perché dovremmo cancellare lo Statuto. Il destino della Sicilia non può essere quello dell’autonomia”.

Giuliano Ferrara, guardando la locandina dell’evento, ha commentato: “Ruling Class allo stato puro”.

“Ha ragione. Questi due sanno ascoltare i siciliani perché gli somigliano, e te li sanno raccontare senza gli infingimenti e le ipocrisie del politichese. Io mi affido al genio di tutti e tre: il maestro Sottile saprà farne un evento unico. Dopo la diretta Facebook e il video, ci faremo un libro”.

Per riportarla a una dimensione più ‘sgradevole’, una deputata del M5s (Stefania Campo) ha contestato questo “strano modo di fare arte”. Alla parlamentare non è andata giù la presenza di Crisafulli, definito un “ex comunista della Sicilia dell’entroterra oramai in cerca di nuove collocazioni e moderni posizionamenti elettorali”. Né quella di Totò Cuffaro, “condannato a sette anni di carcere e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici per favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra”.

“Una dichiarazione che mi fa tenerezza. Si capisce che a questa gente manca l’ironia. La conversazione di mercoledì è una documentazione storica, ed è anche compito di un Festival andare a recuperare delle cose che resteranno nella memoria. Però mi piace segnalare anche un’altra cosa…”

Prego.

“In questi giorni, da parte di alcune ‘anime belle’, ho ricevuto delle ‘toccatine di polso’, sotto forma di vere e proprie intimidazioni. Possono rivoltarmi dalla testa ai piedi: non troveranno nulla che mi possa consegnare a chissà quale spettro”.

Sia più esplicito.

“Mi riferisco a coloro che stanno sempre dalla parte del bene assoluto, i testimonials – con la ‘s’ finale – delle virtù delle legalità, che sono falsi più della pietra pomice”.

Qual è la loro strategia?

“Criminalizzare il dissenso o, in questo caso, quelli che giganteggiando nella scena pubblica impediscono alla mediocrità delle ‘anime belle’, cioè loro, di poter primeggiare. E allora la strada battuta da sempre è l’antica via degli empi, quella evocata da Renè Girard, su cui costruiscono la loro proterva retorica. Ne abbiamo visti tanti di tutelati e di scortati che sono precipitati nel baratro dell’esatto opposto, rivelandosi né più né meno dei truffatori del cosiddetto ‘vangelo degli angeli’”.

Un giudizio su Cuffaro e il carcere.

“Prima le racconto un aneddoto di quando Crisafulli venne assolto. Alla domanda del solito giornalista con la schiena dritta, rispose: ‘Carusi, parliamoci chiaro. Se io fossi stato di Forza Italia sarei a Guantanamo, altro che assolto’ (sorride). Di Totò, invece, voglio sottolineare la sua specchiata lezione di dignità. Quando l’hanno portato in carcere, si è infilato là dentro senza dire nulla. Non è da tutti cavarsela in questo modo”.

La guantiera di cannoli dopo il primo esito della condanna (favoreggiamento semplice), rimarrà la sua croce.

“Ad Aidone non fanno i cannoli, ma queste cassate di impasto grezzo farcite di ricotta squisita. Sono più rustiche, più agresti. E prevale il sapore della spiga, che è sempre augurale. Il grano è parte di quella semina di speranza, di gioia, che ti radica sempre di più alla terra”.