La democrazia è bella a patto che comando io. Ieri Giorgia Meloni ha svelato il suo metodo. Mentre Nello Musumeci si faceva da parte, la leader di Fratelli d’Italia ha imboccato la galleria dei ‘veti’ – che sembrava preclusa dall’ultimo vertice del centrodestra a Palermo – e chiuso ogni discorso su Stefania Prestigiacomo. “Non posso accettare una che è salita sulla Sea Watch col Pd”. Come se manifestare solidarietà a 47 migranti, anziché un encomio, meritasse uno sfottò. Ma non è questo il punto. Il punto è il metodo.

Fratelli d’Italia ha sguainato la spada. Non solo per difendere Musumeci, ritenuto ancora il miglior candidato. Ma per mandare nel caos l’intero centrodestra, che per lunghi mesi è stato vittima delle sue impuntature e dei suoi soprusi. La logica conseguenza del tackle della Meloni, preparato nei minimi particolari dal suo colonnello, Ignazio La Russa, ha un effetto devastante sul rapporto con Forza Italia e Berlusconi: che non solo si era fatto promotore di un accordo su Prestigiacomo, ma credeva di avere le carte in regola – in base ai criteri di spartizione su base regionale e alla “generosità” dimostrata da FI per 25 anni (“Non abbiamo mai avuto un presidente della Regione”, ha sottolineato più volte Micciché) – per poter esprimere il nome del candidato a palazzo d’Orleans.

La Russa, però, ha messo in discussione anche questo: “Non ci hanno ancora fatto capire per quale ragione, la stessa Forza Italia pretenda di esprimere il candidato in Sicilia dove non è più il primo partito e tenuto conto che esprime già i presidenti di diverse altre regioni, sicuramente molti di più di Fratelli d’Italia”. Il partito della Meloni, che aspira a palazzo Chigi, ha già dimostrato il proprio concept di coalizione. Comanda il più forte (nei sondaggi), e gli altri si adeguano. E ha dimostrato che la Sicilia, una delle regioni più grandi e popolose, non merita di conoscere il proprio candidato a poche ore dalla presentazione dei contrassegni elettorali. Né di lasciarsi alle spalle cinque anni di governo deludente.

La Meloni ha il 25 per cento? E’ lei che decide le sorti dell’Isola. Le è bastato un tweet per permettere a Musumeci di riorganizzare la claque e dare battaglia. Per smontare accordi e accordicchi come la maionese. Per riportare tutti all’anno zero. E forse, chissà, a una rottura che avrebbe del clamoroso e finirebbe per spalancare al centrodestra le porte della sconfitta. A quel punto non basterebbe nemmeno il miglior gatto per battere la Chinnici.