Manlio Messina ha detto di essersi dimesso da vicecapogruppo alla Camera dei Deputati per dare un segnale “alla classe dirigente che non ha dato al partito quelle risposte che si aspettava dalla Sicilia”. Ha ammesso, inoltre, la presenza di “beghe interne, liti” oltre al “tentativo di creare correnti e di screditare il compagno” di turno. Eppure, all’arrivo del commissario Sbardella da Roma, altri esponenti di FdI, come l’attuale assessore al Territorio e Ambiente Giusi Savarino, hanno pubblicato una montagna di selfie per fare emergere il “grande momento di comunità e di festa (…) a sostegno di una classe dirigente che cresce con sempre nuove adesioni di qualità”. Come si direbbe nel calcio: hanno visto due partite diverse.
La verità, al di là di ogni ragionevole dubbio, è che Fratelli d’Italia ha perso la bussola e, a furia di raccontare frottole, il quadro non migliora. Sono frottole (ambiziose) quelle della Savarino, ma addirittura Messina ha provato a ribaltare la prospettiva. Offrendo un’immagine di sé a cui molti hanno abboccato. Sarebbe stato lui, infatti, l’unico a sacrificarsi con un atto volontario per favorire la riunificazione, la purificazione, la rinascita dei patrioti. Sarebbe Manlio l’unico eroe coraggioso: “Ritenevo che anche io dovessi dire al partito: vi chiedo scusa e vi riconsegno nelle mani il premio per ciò che avevo fatto negli anni precedenti”. Cioè, cosa?
L’unica grande operazione messa in campo da Messina, oltre a SeeSicily (che tuttora difende), è il tentativo di scalare Fratelli d’Italia dando forza e strumenti alla “corrente turistica” (inaugurata altrove dal ministro Lollobrigida) per acquisire sempre più prestigio e spazi. Non è un caso che, nonostante lui stesso abbia abdicato, nell’Isola continuino a rappresentarlo degnamente: c’è l’assessore Amata al Turismo e c’è Francesco Scarpinato ai Beni culturali. C’è anche Carlo Auteri, che ha provocato il bubbone di qualche mese fa. C’è Luca Cannata, che aspirava a diventare segretario prima della brutta storiaccia dei “rimborsi” richiesti ai suoi ex assessori quand’era sindaco di Avola. C’è il senatore Raul Russo, ch’era stato il capo della sua segreteria in via Notarbartolo.
Messina è il solo ad essersi dimesso, ma anche l’unico responsabile della deriva. Coi suoi metodi. Questo è un punto fermo del racconto. Come spiega Emanuele Lauria su Repubblica, i risentimenti della Meloni nei confronti del partito siciliano si fortificano di fronte allo scandalo che investe il deputato regionale di Sortino, che aveva indirizzato una grossa fetta di contributi regionali destinati alla cultura, alle associazioni gestite dai propri familiari: è “un modo di fare politica a essere contestato, quello che passa dalle manovre omnibus, dalle mance, dalla spartizione dei finanziamenti nel territorio”, scrive Lauria.
Auteri è stato uno degli allievi meglio riusciti del Balilla. L’incarnazione di cosa voglia dire ridurre la Finanziaria a un bancomat per accontentare i singoli deputati e i territori di provenienza. Ma Messina, con la sua “corrente turistica”, è stato altro ed è andato oltre: ha aperto le porte della Regione alla società lussemburghese Absolute Blue, artefice del miracoloso shooting fotografico a Cannes (quasi 4 milioni per un’iniziativa che non godeva neppure dell’esclusività); s’è inventato lo spreco di SeeSicily, offrendo oltre 23 milioni di euro ai big player della comunicazione per promuovere il brand (un procedimento contestato dalla Commissione europea e della Corte dei Conti); ha buttato in pista biciclette e cavalli, sfruttando una delle passioni di Musumeci, sempre a scopo di promozione; ha occupato i posti cardine della cultura, del cinema e delle istituzioni liriche (come la Foss). Oggi si smarca dalle mance distribuite in Finanziaria (“Io da assessore facevo i bandi e non favorivo gli amici”), ma ha aperto la strada a un nuovo mondo. Alla ‘prima’ di Sbardella a Enna ha marcato visita.
Gli altri erano presenti in blocco. Non bastavano trentadue denti a contenere i sorrisi del presidente dell’Ars, Gaetano Galvagno, e del parlamentare europeo, Ruggero Razza; del senatore Salvo Pogliese, che aveva sbaraccato ventiquattr’ore prima dal ruolo di coordinatore della Sicilia orientale, e di Giuseppe Milazzo, l’altro europarlamentare palermitano. Tutti affiliati alle due correnti rimaste: quella dei musumeciani e quella di Paternò.
La prima, composta dalle “vedove” di Musumeci, sta giocando una partita durissima a Trapani. L’ex assessore alla Salute Ruggero Razza, infatti, fin qui è riuscito a trattenere in servizio il manager dell’Asp, Ferdinando Croce, dopo l’indicibile scandalo delle 3.300 biopsie mai refertate. Razza è lo scudo umano di Croce, una polizza assicurativa (persino) nei confronti di Schifani, che con lui avrebbe potuto utilizzare lo stesso metodo esibito qualche settimana fa con Colletti (la moral suasion per farlo dimettere dai vertici di Villa Sofia). Invece no, Croce è rimasto: coccolato dal suo partito e persino dall’assessore Faraoni, che gli ha messo accanto una task force per smaltire l’arretrato e offrire una speranza ai malati oncologici. Razza, all’inizio della legislatura, era riuscito anche a “imporre” la presenza in giunta della moglie Elena Pagana, rappresentando un argine al diktat del governatore: solo assessori-deputati. La Pagana, che si era infranta sul sistema delle preferenze, riuscì ad avere un paracadute. Fra i musumeciani convinti, ex Diventerà Bellissima, c’è anche l’assessore ai Traposti Alessandro Aricò, oltre alla Savarino che si è alternata con la Pagana al Territorio.
Più a destra della destra compare, poi, la corrente di Paternò. Quella dei larussiani di ferro. Che oggi conta sul presidente dell’Assemblea regionale Gaetano Galvagno (bravissimo, però, ad agire a scavalco pure con le altre correnti: d’altronde ambisce ad Orleans e possiede il dono della diplomazia), sul deputato catanese Ciancitto e in generale fa buona presa sul gruppo parlamentare dell’Ars. Sanno bene i parlamentari che Galvagno – uomo immagine del presidente del Senato ma anche fedele “servitore” di Messina, finché serviva – è il loro gancio di traino verso un altro mandato a Sala d’Ercole: perché sarà lui, assieme a La Russa, a decidere le sorti della legislatura che verrà. Rivelandosi leale con Schifani (come Galvagno ha promesso fino a oggi) o provando a scalzarlo, come bramano i nuovi alleati di Sud chiama Nord, il partito di Cateno De Luca.
Questa classe dirigente, cresciuta senza rossore all’ombra del potere, ha provato a prendersi tutto e ci proverà ancora. Ma come accade nelle migliori famiglie, a volte si litiga. Il risultato è un commissario venuto da Roma: “Spero che non resti tanto”, ha ammesso Messina. “Perché quando andrà via significherà che ha rilanciato il partito”. Il buio, però, non si sconfigge col buio.