Gaetano Armao – il multicasacca che la sera prima chiedeva un posto in giunta a Renato Schifani e il giorno dopo si è candidato con il Terzo Polo – ha diffuso una nota di alta tensione morale. “Di legalità nell’amministrazione, di contrasto al racket e di lotta alla mafia non parla più nessuno. Sembra di essere in una campagna elettorale dell’Olanda”, ha denunciato con sofferta e dolorosa ironia. Non è escluso che, dopo questa nota, il vice di Nello Musumeci – e, malgré tout, ancora assessore al Bilancio – sottoscriva anche un manifesto al quale aderiranno immancabilmente i suoi amici più cari: da Ezio Bigotti, l’avventuriero piemontese che ha rapinato alla Regione oltre cento milioni con un censimento fasullo, all’intermediario di affari che staziona impunemente negli uffici regionali e che ha messo a punto un piano per trasferire a una finanziaria di Londra venti milioni dell’Ente Minerario: uno scandalo, uno dei tanti.

Scandali da dimenticare, comunque. Oggi i circoli, le logge e tutti i confratelli di Armao terranno a Palermo la Festa del Perdono. Detta anche Festa della Dimenticanza. Scenderà da Roma la bellissima Mara Carfagna, ministra per il Sud, che al candidato del Terzo Polo ha già perdonato tutto con una indulgenza plenaria: persino la piritollanza di essere entrato più volte nella sua stanza, al ministero, proprio in compagnia del fidatissimo Giovanni Randazzo, l’intermediario d’affari che ha architettato l’azzardo dell’Ente Minerario.

Parteciperà alla festa di Palermo, con la sua infinita misericordia e la sua inarrivabile smemoratezza, anche Maria Stella Gelmini, ministro per le Regioni. Una sorta di fata turchina. Sul tuo tavolo, a Roma, dovrebbero esserci, spietate e ben visibili, le tracce di tutte le scempiaggini compiute da Armao e dal governo regionale negli ultimi cinque anni: bilanci di cartone, rendiconti farlocchi, cinque esercizi provvisori, consulenze e arbitrati opachi, nomine a dir poco inquietanti in tutti quei carrozzoni dello spreco che vanno sotto il nome di Partecipazioni regionali. Ma con un colpo di bacchetta magica, la fata turchina – era azzurrina, prima di abbandonare Forza Italia – ha trasformato tutta la maleodorante paccottiglia in un mucchietto di vetri luccicanti, buoni per essere spacciati come diamanti al mercato nero dell’offerta elettorale messo in piedi da due vecchi magliari della politica: Carlo Calenda e Matteo Renzi.

Alla Festa di Palermo, siatene certi, non ci saranno i vescovi di Sicilia comprensibilmente irritati da una lettera che Armao ha spedito loro per avere mezza riga nei titoli dei tre giornaletti che lo fiancheggiano. Ma non potrà mancare Davide Faraone, la faccia più conosciuta e anche più autorevole del renzismo in Sicilia. A lui personalmente la dimenticanza riuscirà un po’ difficile. Ma dagli imbonitori romani è partito l’ordine perentorio di dire in tutti i comizi, fatti per terra e per mare, che Armao è un politico tra i più illuminati e i più competenti del reame, fatto apposta per essere chiamato e incoronato prossimamente a Palazzo d’Orleans da Renato Schifani. O bere o affogare. Viva Palermo e Santa Rosalia.