Rieccolo, è tornato, sfolgorante esempio di una politica populista, incapace di cambiare passo e schema, altro che mossa del cavallo, trionfo della testardaggine dei muli. La suggestione di un’Opa sul cosiddetto centro è durata il tempo delle esequie del Cavaliere e di un consiglio federale primaverile archiviato nell’estate di Vannacci e della liaison con Marine Le Pen. E ci risiamo: castrazione chimica, evergreen da dieci anni, galera per i minorenni perché i quattordicenni non sono più quelli di una volta (ma non erano bamboccioni?), divieto di utilizzo dei cellulari per i minori condannati, insomma reprimere, reprimere, reprimere. E poco importa che alla fine il bicchiere è mezzo vuoto: niente imputabilità per i dodicenni, ma più pene che riguardano i quattordicenni, mentre dei cellulari neanche a parlarne. L’importante, in perfetto stile trumpiano, è la costruzione di un racconto securitario basato sull’allarmismo, più che la realizzazione concreta.

Inciso necessario a raffreddare gli animi: Matteo Salvini, il kamikaze a sua insaputa che, pur di far saltare i governi fa saltare se stesso, non si esibirà nessun Papeete, ha imparato la lezione sui danni dell’intemperanza, sa benissimo che, se decidesse di terremotare il primo governo di centrodestra eletto dal popolo dopo oltre due lustri, sarebbe accolto a Linate dai forconi. Però, insomma, ha deciso di lanciare la sfida “da destra”: da un lato responsabile sul governo, dove parla di politiche più che di politica, trecento tweet al giorno pure se fa una riunione per asfaltare una strada, quattrocento sul Ponte, cinquecento su linee ferroviarie, trafori, valichi alpini. Dall’altro custode della linea politica autenticamente sovranista, con l’idea di costruire una destra che intercetta le aspettative tradite da Giorgia Meloni e che non fa sconti all’Europa (vedi gli attacchi a Gentiloni e questione Mes, anche qui pop corn per gli spettatori). Continua su Huffington Post