Il susseguirsi delle voci sulle condizioni di salute di Franco Battiato ha messo ciascuno di noi nella condizione di chiederci come e quanto l’enorme vicenda umana e artistica del Maestro di Riposto abbia inciso nella vita di ciascuno di noi. Perché c’è un aspetto che riguarda Battiato in sé – il rivoluzionario che ha cambiato il corso della musica, dalle prove sperimentali di Fetus negli anni Settanta fino al successo de La voce del padrone, primo lp italiano a sfondare il muro del milione di copie vendute – e uno che attiene al Battiato in noi. Al perché ci si sia così immedesimati nella poetica di un cantautore che ha mescolato filosofie esotiche, riferimenti esoterici, rimandi a culture di popoli sconosciuti ai più; la tensione per l’aspetto più propriamente metafisico della condizione umana con rimandi alla cultura pop, osando accostamenti temerari e affermazioni lapidarie (“A Beethoven e Sinatra preferisco l’insalata”); scivolando a volte nel non sense – sempre alto e orientato in senso letterario – per poi planare sul ritorno alle origini, al rientro in Sicilia alle pendici del Vulcano, alle canzoni in dialetto e ad una creazione, monumentale e forse oggi sin troppo messa da parte, come Giubbe Rosse.

Battiato ha creato un discorso originale e irripetibile che ha affascinato e sedotto le generazioni che si sono succedute dagli inizi degli Ottanta in poi, pur essendo quanto di più distante potesse esserci dalla quotidianità routinaria e monotona della nostra vita, cantando testi difficili e facendo entrare nell’immaginario collettivo un mondo spirituale complesso e, per certi versi, inaccessibile.

Perché c’è riuscito? Senza voler avere la pretesa di aver trovato la chiave di volta, l’accento che imprime un ritmo diverso alla metrica, rendendola intellegibile, credo che si possa partire da I Treni per Tozeur, in quel “E per un istante ritorna la voglia di vivere ad un’altra velocità” c’è una perfetta fotografia di cosa sia l’animo umano: la tensione e lo slancio verso qualcosa di altro rispetto alla propria condizione, unita alla consapevolezza che durerà lo spazio effimero di un tempo ristretto.

Perché l’animo umano anela l’infinito ma, per non perdersi, è costretto a pensare nei limiti. Fino a quando qualcuno non prende su di sé il carico e la fatica intellettuale di aprire le porte per consentire a tutti noi di guardare questo altrove, semplicemente con l’ascolto di una canzone che passa alla radio, di un disco seduti sul divano del salotto di casa, o nel raccoglimento misto al coinvolgimento frenetico di uno dei suoi imperdibili e imprevedibili concerti.

Nelle pagine iniziali di Così parlo Zarathustra, Nietzsche elaborò uno dei suoi più famosi aforismi, quello sul caos che bisogna avere dentro di sé per partorire una stella danzante. Battiato del suo caos è riuscito a farne un patrimonio condiviso, utilizzando la forma canzone per condurci verso sentieri che sarebbe difficile, persino spaventoso, percorrere da soli, per quanto affascinante possa essere. Affascinante come la ricerca dell’alba dentro l’imbrunire.