Fratelli d’Italia ci prova, ma non sembra esserci verso. Manlio Messina, dominus dei patrioti siciliani, esponente di spicco della corrente turistica e vicecapogruppo del partito alla Camera, sarebbe il profilo adatto per aumentare le quotazioni dei meloniani nella circoscrizione Isole. Il suo ciuffo ribella spopola in tv e molti, da via della Scrofa, starebbero verificando in questi giorni la possibilità di un suo impegno in prima persona per le Europee. Ma niente. Il Balilla, al quale un seggio in Europa farebbe comodo, non ne vuole sentir parlare. Come accadde qualche tempo fa, quando gli chiesero di candidarsi a sindaco di Catania per interrompere il loop in cui era precipitata la coalizione, che non riusciva a venir fuori dalla contrapposizione fra Trantino e la leghista Sudano. Anche in quel caso Messina rifiutò la legittimazione dei vertici: eppure sarebbe bastato chiunque a battere la sinistra.

L’ex assessore regionale al Turismo, però, resta umile e fugge dalle urne. Alle ultime Politiche è stato eletto col proporzionale, cioè col listino bloccato. Non ha dovuto sporcarsi le mani più di tanto in campagna elettorale, ha goduto – beato lui – della luce riflessa di Giorgia Meloni. Forse, però, nell’ultima fase è diventato un po’ ingombrante e qualcuno, parlando di Sicilia, si diverte a tirarlo in ballo. A meno di clamorose sorprese – vuoi mettere la posizione di frontman televisivo rispetto a quella, un po’ marginale, di europarlamentare? – non sarà lui ad arricchire la lista di Fratelli d’Italia. Tant’è che il ministro Lollobrigida, reggente della corrente turistica, si sarebbe catapultato su un altro senza voti. Quel Francesco Paolo Scarpinato che ieri, dopo averci litigato quasi a morte, ha sfilato con Schifani alla Villa Romana del Casale di Piazza Armerina, tutto merito dell’investitura romana: dopo i disastri di Cannes è passato per direttissima dal Turismo ai Beni culturali.

Certo, il suo approdo in Europa farebbe esplodere un paio di problemi per nulla banali: intanto la contesa all’interno del partito. L’altro palermitano in rampa di lancio, Giuseppe Milazzo, ha già dato prova nel 2019 di non amare la concorrenza (all’epoca sconfisse Saverio Romano, candidato in FI, per una manciata di voti dopo una campagna elettorale burrascosa); ma Scarpinato finirebbe per togliere spazio anche un catanese, alimentando il malessere all’interno di una provincia che annovera tanti contender (su tutti il sindaco di Gravina, Massimiliano Giammusso, sostenuto da Salvo Pogliese, e il delfino di Musumeci, Ruggero Razza). C’è anche un’altra questione: chi andrebbe a sostituire Scarpinato in giunta? La corrente turistica ha già “allevato” qualcuno da mandare in avanscoperta e portare la causa degnamente avanti? O magari bisognerà rivolgersi a qualcuno di più scafato?

Se Schifani non è riuscito, nonostante i nobili intenti, ad avere in giunta solo assessori-deputati, sembra che ora debba preoccuparsi per il motivo opposto: avere troppi assessori che puntano a Bruxelles. Detto di Fratelli d’Italia (anche Elvira Amata, attuale assessore al Turismo, ci fa un pensierino), c’è poi Forza Italia. Dove la lista dei partecipanti è notevole: sono in rampa di lancio quello all’Economia, Marco Falcone, e quello alle Attività produttive, Edy Tamajo. La loro non sarà una candidatura di servizio e dopo Tamajo, il preferito di Schifani, anche Falcone ha spiegato che “al Parlamento europeo serve un impegno pieno e totalizzante nell’interesse della Sicilia”. E che “io, nel caso, resterei a Bruxelles”. La competizione, con due mesi e mezzo davanti, è già a un livello di guardia. In Forza Italia, fra l’altro, dovrebbe esserci anche Caterina Chinnici, che guarda all’Europa come l’unico approdo possibile per dare continuità al suo lavoro (il cambio dal Pd a Tajani non può essere stato casuale).

La figlia del giudice Rocco, questa volta, dovrà guadagnarsi ogni singolo voto, perché con Tamajo e Falcone non si scherza. Non basterà il cognome che porta, il passato da magistrato, l’impegno per la legalità, la storia specchiata della sua famiglia. Le servirà fare politica, scendere in campo per la campagna elettorale, sgomitare (se serve). In questa contesa fra professionisti di comizi e catalizzatori di voti, dovrà cambiare strategia rispetto al piattume messo in mostra nel 2022, quando la Chinnici corse da presidente della Regione (col Pd) senza mai sventolare una critica nei confronti delle destre.

Anche se altri vorrebbero seguirla su quel terreno: Sonia Alfano, candidata con Azione di Calenda; il Capitano Ultimo, alias Sergio De Caprio, in campo con De Luca (come Giuseppe Piraino, un altro che ha denunciato il pizzo a Borgo Vecchio), e infine Giuseppe Antoci, candidato di punta del M5s, un privilegio talmente raro da aggirare persino le regole interne (che prevedono la partecipazione alle consultazioni online tra gli iscritti). Hanno denunciato malefatte, sgominato criminali, uno ha persino arrestato Totò Riina: adesso si ritrovano nello stesso recinto a competere per un seggio. Con la Sicilia e gli interessi dei siciliani sullo sfondo: da ognuno di loro sarebbe curioso un giudizio, una disamina sulla situazione attuale, individuando punti di forza e di debolezza di un esecutivo e di un parlamento asfittico. Andando oltre il punto di vista sulle mafie, che peraltro conoscono già tutti.

La situazione più ingarbugliata, sospendendo il giudizio sul Pd (ma dovrebbe esserci il ritorno di Giuseppe Lupo, che proprio la Chinnici bocciò alla vigilia delle Regionali perché “impresentabile”: oggi è stato assolto dall’accusa di corruzione), è quello della Lega. Dove non basta, non più, il patto con Raffaele Lombardo, per garantire la sopravvivenza a Salvini. Né il temperamento di Luca Sammartino, che già in altre occasioni ha dimostrato di valere decine di migliaia di voti. Serve uno sforzo ulteriore, così Matteo Salvini ha invitato ufficialmente Raffaele Stancanelli per un caffè: “Conosco lo stile e il profilo di bravo amministratore e apprezzato eurodeputato, sarebbe un peccato disperdere questo patrimonio di esperienza per la Sicilia”, ha detto il vicepremier a ‘La Sicilia’. “Per questo – ha concluso – mi piacerebbe parlarne con lui”.

Stancanelli, galvanizzato dalla curiosità del Carroccio e tradito da FdI (che ha scelto di votarsi ad altri santi) sta approfondendo la questione, analizzando gli scenari, scaldando i motori. Al momento opportuno darà una risposta. Il suo nome aggiungerebbe incertezza e curiosità alla contesa di giugno dove, è bene ricordarlo, non esistono coalizioni ma si gioca tutti contro tutti. E dove l’effettiva pesatura nelle urne – Lombardo e Cuffaro cercano sponde per farsi notare – costituirà un motivo di riflessione per un rimpasto sempre più incombente nella giunta di Schifani. Che da qui in avanti tutti ricominceranno a tirare per la giacchetta. Un buon motivo per sospendere l’attività di governo e godersi la fama? Certo che no. Ma è così che andrà.