Un piccolo tour siciliano, dal Teatro Biondo di Palermo alla libreria Prampolini di Catania. In mezzo un passaggio nell’aula consiliare di Zafferana Etnea. Tre tappe nell’Isola per ritrovare il filo delle sue origini e, soprattutto, per presentare la sua ultima fatica letteraria: “Anja, la segretaria di Dostoevskij”. Giuseppe Manfridi, scrittore teatrale, che da un po’ di anni si dedica con profitto alla narrativa – è già comparso due volte tra i pre-finalisti del premio Strega – ha presentato il suo romanzo nella sala Strehler del Teatro Biondo, assieme alla direttrice dello Stabile, Pamela Villoresi. “Mio nonno era di Piazza Armerina. Sono siciliano da parte di madre – spiega Manfridi -. La Sicilia è la metà di ciò che ho in circolo, l’altra metà è pugliese e la coniugazione mi ha fatto nascere a Roma. Questa città, e la squadra di calcio che ne porta il nome, sono la mia parte identitaria”.

I ragionamenti di Manfridi non prescindono dalla passione per lo sport. Che trova rapida applicazione nella letteratura e persino in un personaggio come Dostojevskij, gran giocatore ma d’azzardo: “Sono sempre stato diviso tra il palcoscenico e il campo da calcio – racconta l’autore – E infatti mi ero scelto un ruolo, quello di portiere, che va occupare un piccolo palcoscenico ricavato all’interno del terreno di gioco: l’area di rigore. Ci ho scritto un libro grazie al mio amico Dino Zoff: attraverso un campione come lui soni riuscito a raccontare questo ruolo”. “Io sostengo che Dostoevskij fosse endemicamente romanista – sostiene ancora Manfridi -. Ho sempre sognato uno striscione esposto in Curva Sud, quella della Roma, con su scritto: “Noi siamo soli, loro sono tutti”. Ce ne sono capitate talmente tante, che l’animo romanista si riflette in quella frase”.

Ed è la stesura di uno dei capolavori di Dostoevskij, “Il giocatore”, che consegna a Manfridi il backstage naturale su cui erigere il suo romanzo: “Dostoevskij aveva chiesto un anticipo per colmare un debito di 3 mila rubli: gli venne accordato dal suo editore in cambio di un contratto con cui si impegnava a consegnare un inedito in tempi brevissimi, ventisei giorni. Un periodo nel quale lui è impegnato anche a fare altro (sta finendo di scrivere “Delitto e castigo” a puntate)”. E qui entra in campo Anja, dell’istituto di stenografia di Pietroburgo. “All’epoca non ce n’erano molti in giro per l’Europa. Anja è la più brava del corso, vuole imparare un mestiere che le tornerà utile più avanti, ad esempio nei tribunali, dove gli stenografi verbalizzano gli interrogatori. Anja sbalordisce quando sa da chi deve andare. Dostoevskij era il grande amore letterario di suo padre, morto da poco, che qualcosa vuol dire nel gioco dell’eredità emotiva”.

“In questa nuova forma di scrittura, che io oserei definire del “pensiero a vista”, senza la possibilità di correggere nulla, sotto dettatura, Dostoevskij viene portato incontro all’essenza del suo stile, turbolento, rapinoso, veloce, tanto che i suoi più grandi romanzi nasceranno nei 14 anni successivi, quelli del matrimonio con Anna”. Perché la collaborazione furtiva sfocia nell’happy end. L’autore e Anna, la sua stenografa, cominciano ad amarsi in silenzio, avvolti nelle rispettive timidezze. Dostoevskij, vecchio e malato, non avrebbe mai pensato di attrarre una fanciulla. “Mentre lei sta già pensando di distaccarsi da un datore di lavoro brusco e difficile – racconta Manfridi – si butta a capofitto dell’impresa. Avviene qualcosa che li riavvicina. Così Anna non diventerà mai la vedova di Dostoevskij, gli sopravviverà 34 anni, ma è rimasta sempre sua moglie”. Conservando in ogni modo l’eredità artistica.

“Il mio romanzo racconta la fabbrica di un libro, – dice ancora Manfridi – rivela come nasce “Il giocatore”. Mi capitò, nei primi anni Duemila, di leggere “Il diario di Anna Dostoevskaja”, da cui ho tratto una commedia per la regia del mio amico Claudio Boccaccini. Abbiamo fatto uno spettacolo a teatro per un paio d’anni, fra il 2004 e il 2005. A recitare nelle parti di Anna è stata Ivana Lo Tito, che interpreta la moglie di Genny Savastano in Gomorra. Ecco, l’idea di Anja, di questo tempo contratto, di una scrittura improvvisa, esplosiva, mi è rimasta dentro come non compiuta. Poiché la narrativa è entrata a far parte dei miei spazi, l’ho ritirata fuori”. E’ il nesso con il calcio, con l’agone, con la competizione sportiva che si perpetua. L’ultima sfida di Giuseppe Manfridi va in scena nella sua Sicilia.