Mai voglia il Dio dell’Umanità, della Civiltà e della Buona Creanza (ma anche quello delle Città e dell’Immensità) che i social dedichino apposite pagine alle tempeste telematiche che sono genere già purtroppo liberamente e troppo liberalmente praticato in gran parte del web da utenti disumanamente, incivilmente e screanzatamente specializzati. L’ultima s’è scatenata sulla pagina facebook di Giusto Catania, ex assessore all’Ambiente e alla Mobilità del Comune di Palermo che proprio non ha digerito il responso delle urne alle ultime amministrative palermitane che l’ha visto (causa sbarramento percentuale per la sua lista) fuori dal consiglio comunale, nemmeno uno strapuntino nel settore della nuova opposizione.

Vorrei vedere, direte. A chi mai piace perdere? Eppure, bisogna saper perdere, come cantavano Dalla e i Rokes a Sanremo la bellezza di 55 anni fa. Catania – forse perché è nato dopo – proprio non ce la fa. O quantomeno, preso atto dell’esito del voto, perde male. Per chi se lo fosse perso, il post che ha scatenato le ire funeste di tastiere frementi recita testualmente: «Da oggi al governo della città ci sono personaggi meno limpidi, culture politiche più retrograde, esperienze discutibili, storie personali ambigue. Certamente potevamo fare di più e meglio ma due cose sono sicure: abbiamo curato il bene comune con onestà e presto Palermo ci rimpiangerà». Apriti cielo, anzi apriti commento! Diluvio di critiche e improperi al mittente del post e difese d’ufficio, schermaglie accese tra pro e contro, insomma il solito ticchettàcche di durlindane internettistiche che nemmeno Cuticchio che l’opra dei pupi l’ha perfino innovata.

Però, c’è un però. In tutta onestà il post sembra uno scivolone di cattivo gusto. A parte il giudizio sullo schieramento politico nemico (in politica non esistono nemici ma avversari, credo lo dicesse Togliatti), che è un giudizio tranchant all’ammasso, che fa di tutte le erbe un fascio, di quei giudizi che fanno del pregiudizio l’anticamera della verità, licenziato sugli schermi per tragicamente retorico il cassandresco finale, il ponzamento non è proprio nelle declinazioni della buona politica e delle buone maniere. E la forma, ci hanno insegnato i nostri papà, non sarà tutto ma conta parecchio, anzi spesso è perfino sostanza. Anche Leoluca Orlando – da Grande Sconfitto ma da politico col pelo sullo stomaco – se ne è ricordato già dalle prime interviste post-voto: con tanti auguri di buon lavoro al neo-sindaco e l’avvertenza, o avvertimento, comunque legittimi, di non disperdere quel che di buono lui e la sua giunta avrebbero fin qui fatto. Ma la forma, probabilmente, non si trasmette per scala gerarchica ai propri assessori. Si poteva magari augurare buona navigazione ad amici e colleghi dell’opposizione, promettere magari una costante vigilanza sul loro operato o anche una fattiva collaborazione, frutto della personale esperienza. Macchè, nemmeno quello. Rabbia, livore e, per la città, fino a pochi giorni fa tanto amata, il memento mori del rimpianto come ciliegina finale. Che più che ciliegina sembra un confetto avvelenato.

P.S. personale (di cui chiedo preventivamente venia). Ho votato la coalizione cha ha perso, il 12 giugno, forse più per vecchia tradizione che per sincero convincimento. Come direbbe quell’adorabile cinico di Roberto Alajmo, più che saltare sul carro del vincitore annunciato mi sono buttato, per quasi tutta una vita, sotto le ruote del carro dello sconfitto. Ma sto qui a guardare, osservare, criticare sull’argine del fiume: aspettando che l’avversario (non il nemico) costruisca qualcosa, al di qua delle sponde e, semmai non volesse o dovesse farcela, ad aspettare fra cinque anni il suo simulacro che scorre sull’acqua.