Si sono dati convegno al Teatro Pirandello di Agrigento per scambiarsi doni, per autocelebrarsi, per dirsi quanto sono bravi, solerti e attenti.

L’assessora al Territorio aveva immaginato di riconoscere i meriti di quanti pongono attenzione al territorio, per nominarli “ambasciatori dell’ambiente”.

Casualmente come primo meritevole è stato individuato il presidente della Regione. “Tu mi nomini ed io ti premio”, potrebbe essere il titolo di una banale pièce teatrale.

Così il nostro è stato insignito tra gli applausi dei Fratelli d’Italia e dell’intera classe dirigente della Città dei Templi, che si appresta a chiudere il mirabolante anno di Capitale della cultura.

Dalle immagini della cerimonia si scorge Schifani senza imbarazzo, composto e serioso come sempre che, accettando il riconoscimento, non si lascia scappare da ridere, circondato dai numerosi “clientes” locali che, per inveterata tradizione ad Agrigento, non hanno mai fatto mancare il sostegno a chi comanda, o perché ne hanno ottenuto un qualche favore, o perché sono in attesa di riceverlo.

Nel teatro, intitolato al più grande drammaturgo italiano, alcune sere fa è stata messa in scena una operetta da strapaese che avrebbe potuto essere rappresentata tutt’al più in un teatrino da filodrammatica parrocchiale.

Eppure, al di là del valore del copione, i protagonisti hanno recitato con sufficiente maestria, si sono calati nella parte, hanno indossato con professionalità le loro maschere teatrali, hanno dato vita ad una finzione, quella propria del teatro che, quando riesce a farlo, racconta una verità diversa dalla consueta, crea un altro mondo e vi trasporta gli spettatori.

Il primo “Ambasciatore siciliano” si dovrà comunque guardare dal rappresentare l’ambiente che c’è, quello che segna e sfregia le nostre città, le nostre spiagge e il nostro territorio. Sarà bene che per qualche tempo tenga da canto spadino e tricorno in attesa di un Ambiente da venire, quello che è stato sceneggiato nella finzione teatrale di Agrigento.

Probabilmente perché consapevole, Schifani, come sempre impettito e severo, ha trovato il modo di svicolare, ha parlato d’altro finendo, nella foga, su un terreno ancora più scivoloso ed impraticabile.

Ha raccontato di una Sicilia che vive “un momento di crescita sociale ma anche morale”.

Ora, per quanto si sia abituati a sentire la rappresentazione di un mondo improbabile, segnato dal progresso, dalla crescita dell’occupazione, dagli investimenti nella scuola e nella sanità, per quanto ogni giorno ci si trovi di fronte ad una classe dirigente che parla di una realtà immaginaria, da Meloni in giù, sfidando ogni evidenza, la rivendicazione di una crescita morale in Sicilia è proprio troppo e tale dev’essere sembrata anche ai numerosi spettatori presenti nel teatro, che pur politicamente fidelizzati, hanno dovuto faticare per trattenere il sorriso, pur apprezzando le capacità sceniche del primo attore.

Ogni giorno, del resto, egli si trova a fronteggiare le incalzanti questioni morali che investono la Regione. Ogni giorno si succedono scandali, episodi di mal governo, esempi di sperpero di denaro pubblico, ogni mattina i giornali e i mezzi di comunicazione sono occupati a raccontare situazioni imbarazzanti. Negli ultimi tempi il presidente della Regione è dovuto intervenire sulle vicende di Cuffaro e del suo partito, sollevando dal loro incarico due assessori per la colpa dell’appartenenza e immediatamente dopo è stato costretto a mantenere in giunta l’assessora al Turismo, indagata come già altri due suoi colleghi.

Nella città di Pirandello tuttavia Schifani proclama, alto e chiaro, una condizione sociale talmente florida che ce la invidiano in Baviera e una moralità pubblica che non esisteva neppure nel mitico impero austro-ungarico.

È bello vivere o far credere di vivere nel migliore dei mondi possibili. Con la penna di Voltaire, lo diceva Pangloss – l’uomo dalle molte lingue – ai suoi allievi, increduli nei giorni nei quali il terremoto di Lisbona mieteva migliaia di vittime.

Tutto ciò che esiste dovrebbe avere ragione di esistere ed essere riconosciuto per quello che è. Ma i nasi, aggiungeva il filosofo francese, servono per poggiarvi gli occhiali per vedere una realtà immaginaria. I politici li usano volentieri per raccontare, con persuasiva capacità, ciò che i loro seguaci aspettano, del resto, di sentir dire.

Nel teatro, così facendo, la finzione diventa artificio, nella vita inganno, che prima o poi si scopre e lascia nudi anche i grandi attori della politica, che per qualche tempo restano convinti di avere di fronte tanti “Candidi” che credono o fingono di credere a ciò che dicono.

E Schifani può anche dire della moralità pubblica in crescita in una terra piegata dalla diffusa, pervasiva violazione della legge, che trova terreno fertile in un esercizio del potere disinvolto in mano a gente troppo spesso inadeguata.

Se quando si smette di sentire i comizi di Meloni o la recita di Schifani e il cinismo, l’inefficienza delle strutture pubbliche, la corruzione, l’insicurezza delle città, diventano evidenti, emergono due mondi, uno finto e l’altro reale, occupato dalla gente sempre più indifferente, lontana ed ostile.

Sul palcoscenico del Teatro di Agrigento venerdì è stata rappresentata una recita imbarazzante con un copione fantasioso, quasi metafisico, recitato da personaggi che magari senza aver pensato ad Uno, nessuno e centomila, e senza avere la forma del naso che lo specchio rimandava deformata a Moscarda, come quell’indimenticabile personaggio pirandelliano, non distinguono la finzione dalla realtà, il falso dal vero.