Spesso accade, a noi magistrati del penale, di ascoltare un imputato e chiederci – fino alla fine del processo – se si tratti di un colpevole o di un innocente. Quelli, tra noi, che più cercano di amministrare il dubbio (e sistemarlo al di là di ogni possibile ragione di verità) sanno di cosa sto parlando. Così ti ritrovi spesso a indagare lo sguardo dell’imputato perché, in quegli occhi, si ritrova l’infallibile macchina della verità.

Non sempre questo metodo empirico funziona e la storia giudiziaria ricorda tanti casi in cui un assassino aveva lo sguardo dell’innocente. Ad esempio, accadde nell’omicidio di Salvo Lima che il suo killer riuscì a tenersi indenne da ogni sospetto. Lo si ritenne estraneo fino al momento in cui confessò. Mise molto tempo a convincere della sua colpevolezza gli inquirenti, abbagliati da un alibi perfetto che lui stesso aveva costruito con professionale abilità.

Fatta questa premessa è facile comprendere come l’aspirazione di ogni buon organo inquirente sia quella di scoprire, grazie all’ammissione, quanta verità di colpa fosse nascosta nello sguardo.

Ho spesso sondato – grazie alle numerose fotografie che, negli anni, i giornali hanno diffuso – lo sguardo del vecchio Vlad. Quello sguardo bonario e accondiscendente di un orso bruno, all’apparenza addomesticato, ripulito di un passato nel famigerato servizio segreto russo KGB. Mi chiedevo: “Ma è mai possibile che questo Presidente sia il mandante di feroci omicidi contro uomini e donne rei solo di pensarla diversamente da lui?”.

Leggevo la storia della Politkovskaja (uccisa a Mosca il 7 ottobre 2006) eliminata per avere difeso i diritti umani e raccontato il dramma ceceno. Scoprivo che altri duecento, tra giornalisti ed oppositori rifugiati in Francia, erano stati soppressi o scomparsi nel nulla. Faceva eco, dentro di me, l’agonia di Aleksandr Litvinenko, avvelenato, a Londra, dalle radiazioni del Polonio-210. Nel suo stato pre-agonico, quell’uomo, che aveva militato nelle unità scelte del KGB (con la famigerata sigla FSB), accusava apertamente Vlad di essere stato il mandante della sua morte. Aveva anche spiegato il movente connesso al piano per l’assassinio di un oligarca russo, Berezovskij, poi materialmente eseguito a Londra qualche tempo dopo (23 marzo 2013).

Molti altri omicidi, più o meno eclatanti, di oppositori si erano susseguiti nel ventennio di presidenza ed ogni volta mi facevo la stessa domanda: “Ma come fanno quegli occhi e quello sguardo da Husky Siberiano a travisare e nascondere una così grande colpa?”.

La mia aspirazione di Verità su ciò che nascondevano quegli occhi ha avuto il suo empirico esito in un giorno che l’Europa difficilmente dimenticherà. Aerei ed elicotteri – con la bandiera del vecchio Vlad – che bombardano luoghi popolati da inermi civili. E finalmente lo sguardo che non può più rifugiarsi a protezione della menzogna. Sì… come hai fatto a dubitarlo anche per un solo momento? Era lui il colpevole…