“Alcune andranno salvate, su altre dovremo soprassedere”. Parola dell’assessore-pompiere all’Economia, Marco Falcone. Il riferimento è alle norme oggetto di approfondimento da parte del Ministero della Funzione pubblica, che potrebbe fare a pezzi il “collegato” all’ultima Finanziaria. Trattasi della manovrina che l’Ars, in sede di bilancio, ha stralciato dal testo della Legge di Stabilità proprio al fine di non comprometterla. Il risultato è quello che vediamo: Palazzo Chigi ha già impugnato un paio di norme inserite in Finanziaria (la trasformazione del Cefpas in ente sanitario e gli oltre 4 milioni di incentivi ai dipendenti regionali); sul resto, invece, esiste un ammonimento del Mef, risalente a una settimana fa, in cui si chiede alla Regione dei correttivi urgenti. Arriveranno?

Come traspare dalle parole di Falcone, il pasticcio è tangibile. Nonostante le dichiarazioni d’intenti (in primis) del presidente dell’Ars Galvagno, che sembrava voler chiudere l’epoca delle impugnative facili. Invece, a distanza di pochi mesi, ci ritroviamo col solito problema: il governo regionale e l’Ars non sanno scrivere le leggi, innescando la reazione di Palazzo Chigi, e talvolta, della Corte dei Conti e della Corte Costituzionale. E’ vero che l’impianto generale della Finanziaria ha retto, come si vanta Schifani; ma è altrettanto vero che molte norme di spesa, spesso dal tono populistico (oltre che trionfalistico) trovavano spazio nella “manovrina”. Ed è lì che probabilmente resteranno impantanate.

A cominciare dalla norma che stabiliva l’assunzione diretta, in Regione, per le donne vittime di violenza e per gli orfani di femminicidio. Una proposta partita dalle opposizioni su cui tanti provarono a mettere il cappello. A cominciare dall’ex iena Ismaele La Vardera, deputato di Sud chiama Nord. Una trovata propagandistica che avrebbe finito per infrangere il metodo del “concorso” per l’ingresso nella pubblica amministrazione. Uno dei pochissimi a segnalare l’anomalia della scelta – senza per questo condannare il nobile intento di contrastare le barbarie di genere – era stato il deputato dei Cinque Stelle, Luigi Sunseri: “A me questa norma non piace – commentò a caldo – E non mi piace perché offrire un posto di lavoro nella pubblica amministrazione non è il modo per combattere la violenza sulle donne. A me sembra, invece, l’ennesimo tentativo per sentirsi a posto con la propria coscienza con un’azione che mi appare come di mera facciata (…) È solo apparenza, fumo negli occhi, fonte dell’ennesima disparità di trattamento”. Senza contare che persino alcune donne, come la deputata del M5s Martina Ardizzone, ebbero da ridire sul metodo: “E’ impensabile legiferare in questo modo per rimediare ad una “discriminazione” di trattamento sociale”.

Sta tutto lì. Nel verbo “legiferare”. Nell’assunzione di responsabilità che i politici, ancora una volta, hanno mostrato di non possedere. A riassumere il concetto, con un intervento sui social, è anche il giornalista Giacinto Pipitone: “A volte è meglio non farle le cose, piuttosto che affidarsi a deputati incompetenti e senza scrupoli, abili nel cavalcare l’ira della piazza, la sete di una giustizia sommaria o anche solo il desiderio di una forma di pietà della porta accanto. Ci sono modi e sedi per difendere interessi legittimi e sacrosanti. E quello di chi ha cavalcato i femminicidi durante le votazioni della Finanziaria con una norma spot è, e sempre resterà, sciacallaggio”. In effetti è quello che fa la politica – affidarsi al populismo – quando viene meno l’abilità nell’amministrare o la formazione nel proporre. E’ ininfluente che la norma provenga da destra o da sinistra, dalla maggioranza o dall’opposizione. L’hanno votata tutti coloro i quali credevano di poter concedere un riscatto alle vittime di femminicidio, legiferando senza regole. Finirà tutto con una pernacchia.

Anche altre misure pasticciate rappresentano motivo di rossore con Roma. A partire da quelle in materia di sanità. Era stato previsto un contributo fino a 18 mila euro annui per i medici che avessero accettato di lavorare negli ospedali di periferia (intera dotazione: 10 milioni), dove il personale è ridotto all’osso: la norma, però, finirebbe per violare le prerogative dello Stato in materia di contratti collettivi, senza una chiara distinzione fra medici contrattualizzati e convenzionati. Tra gli articoli sub-judice anche quello che garantirebbe un aumento del 15% del budget ad Aziende sanitarie e ospedali per garantire nuove assunzioni (così da permettere ai precari Covid di essere assunti e prestare servizio nelle Case della Comunità prossime venture).

Lo stesso populismo trasuda dalla vicenda degli Asu, lo storico bacino di precariato (circa 3.700 persone) che dopo 25 anni si avvia verso la stabilizzazione. I partiti hanno versato fiumi d’inchiostro per esaltare la “svolta” che non è mai arrivata. Fino a ieri, guarda caso: Palazzo Chigi infatti non ha impugnato la norma che prevede la stabilizzazione a 24 ore settimanali (o in alternativa di proseguire a 36 ore con la formula del sussidio). Quindi ci hanno riscritto comunicati entusiastici, da Forza Italia alla Dc. Hanno parlato di “traguardo storico”, di “vittoria politica e amministrativa di Schifani e della maggioranza”, di “norma inattaccabile”. Pensano di poter utilizzare questa leva in campagna elettorale (e magari c’hanno pure ragione) per chiedere il voto a chi proviene da quel bacino di precariato, o magari anche da altri (visto che pure la vertenza degli ex Pip è ai titoli di coda). Come se l’unico antidoto al malgoverno fossero le assunzioni. Meglio senza concorso.

Schifani, che da poco è stato nominato commissario per realizzare due termovalorizzatori, dopo aver preso atto di non poter fare molto (manca il piano dei rifiuti) e neanche in fretta, è arrivato al punto di creare un ufficio speciale per “la valorizzazione energetica e la gestione del ciclo dei rifiuti”. A supporto e alle dirette dipendenze del commissario straordinario, cioè di se stesso. Qui non ci sono nuovi assunti, ma “solo” nuove funzioni. “L’organismo – si legge nella nota di palazzo d’Orleans – sarà guidato da un dirigente e articolato in una struttura intermedia (servizio) composta da quattordici unità di personale al massimo, coordinata da un altro dirigente. Il suo intero funzionamento sarà coperto da finanza regionale”. Altri soldi da mettere sul piatto.

Come quelli – ultimo tema di disarmante attualità – che saranno utilizzati per un’altra puntata del caro voli. Il presidente della Regione ha annunciato in conferenza stampa la nuova scontistica per i passeggeri siciliani vessati dalle tariffe delle compagnie. Le stesse compagnie che hanno già beneficiato di una prima ondata di ristori (33 milioni di euro) e che non hanno restituito niente. Neppure l’impegno a ridurre i prezzi durante le festività, tanto che oggi per tornare nell’Isola a Pasqua servono più di 300 euro. Oggi si è deciso di applicare uno sconto del 25% per tutti i residenti in Sicilia (e il 50 per le categorie prioritarie) che fino al 31 dicembre si recheranno in qualunque destinazione nazionale. Soltanto a rimborso, però. Ecco: si può scegliere se andare avanti con queste prove di governo, che paiono fondate sull’improvvisazione; o cominciare a governare per davvero. L’esecutivo, al momento, sembra non avere dubbi. E il parlamento nemmeno.