“Dobbiamo passare dalla fase dell’emergenza a quella delle progettualità, e infine della realizzazione”. Saverio Romano butta lo sguardo “oltre”. Oltre questa terribile pandemia che ha ridotto la Sicilia a disquisire sulla cromaticità del rischio, senza venirne a capo. Per una terra che soffre di un tremendo gap infrastrutturale – materiale e immateriale – rispetto al resto del Paese, è fondamentale aggrapparsi alle poche opportunità esistenti. Una di questa è il Recovery Fund, lo strumento europeo per la ripresa con cui l’UE ha riservato all’Italia 209 miliardi, di cui una parte (81) a fondo perduto.

Ora è il momento delle Regioni. Qualche giorno fa, in un vertice di maggioranza, Musumeci ha illustrato le intenzioni del governo. Ma Romano, presidente dell’Osservatorio Eurispes per il Mezzogiorno, scava più a fondo: “Da quella riunione, in cui ero rappresentato dall’on. Antinoro, sono emerse parecchie proposte, ma alcune con una visione limitata. Il nostro obiettivo – spiega il leader del Cantiere Popolare – è fare poche cose, ma di grande impatto. Siamo stanchi di interventi a pioggia e cattedrali nel deserto”. “Dobbiamo fare in modo che alcune opere, nel cassetto da troppo tempo, vengano tirate fuori, riviste e finanziate”, spiega l’ex Ministro, che nelle ultime ore ha presentato il suo “pacchetto”.

L’elenco si sviluppa su tre piani: green, digitale e collegamenti intermodali. E prevede un menu ricco: il porto hub di Palermo, ritenuta “la più grande piattaforma logistica del Mediterraneo”. Costo dell’operazione 5 miliardi, con una ricaduta certa sull’occupazione (400 mila posti di lavoro). La connessione di Birgi e Punta Raisi, coinvolgendo Ferrovie dello Stato nel potenziamento della linea Palermo-Trapani via Milo, che darebbe vita a un grosso hub aeroportuale (135 milioni); ma anche la Pedemontana di Palermo, per bypassare la città e collegarla da parte a parte, allo scopo di alleggerire il traffico e i rischi su viale Regione siciliana (800 milioni); e il collegamento ferroviario da Canicattì all’aeroporto di Comiso, per dare lustro alla zona ortofrutticola. “Ma – ci precede Romano – sono previsti pure una serie di investimenti nell’area di Catania e di Messina”.

Perché questa fiducia smisurata nel Recovery Fund?

“Perché le linee di indirizzo che ha dato l’Unione Europea guardano al futuro e non hanno bisogno del passato: il recupero ambientale, il digitale, le infrastrutture si fanno a prescindere dal punto di partenza. Abbiamo l’occasione di ripartire daccapo e superare a piè pari la fase della mancata industrializzazione della Sicilia. Il mondo si sta evolvendo verso il digitale. Palermo è la città più cablata d’Italia. Inoltre bisogna coinvolgere Eni, Enel e le principali major, per effettuare degli interventi di bonifica ambientale in partnership con la Regione e col governo nazionale”.

Una parte consistente del Recovery Fund punta sull’ecosostenibilità. E’ un obiettivo alla portata per la Sicilia?

“Certamente è una visione nuova. L’ambiente sarà il tema cruciale dei prossimi anni. Ma lo sviluppo non si può fermare. Se mettiamo insieme green, digitale, connessioni intermodali, ovviamente con sistemi innovativi, possiamo centrare l’obiettivo”.

Nelle sue slide non fa accenno al Ponte sullo Stretto, che invece resta il cavallo di battaglia del governo Musumeci. Perché?

“Preferiamo le cose più concrete. Quella del Ponte sullo Stretto è una questione legata a un contenzioso in corso (Impregilo ha fatto causa allo Stato per la sua mancata realizzazione, ndr). E poi l’Unione Europea è stata molto chiara: il Recovery deve servire per dei progetti che non rientrano in vecchi programmi di finanziamento. Ci sono troppi ostacoli. Le nostre, invece, sono proposte serie, compatibili con le linee programmatiche. Su queste chiediamo di sostenere una battaglia”.

I progetti ci sono già?

“Spesso si trovano nel cassetto di Anas e Ferrovie dello Stato. A proposito: senza di loro non è possibile pensare all’intermodalità. Sono delle aziende pubbliche e vanno coinvolte. E’ chiaro che, in cambio, ci aspettiamo una compensazione, con somme aggiuntive, su altre infrastrutture. Può diventare un volano di sviluppo. E poi, diciamocelo francamente: la nostra amministrazione regionale non ha alcun tipo di progettazione pronta. O utilizziamo queste strutture statali, o non ne usciamo fuori. Per questo propongo un tavolo immediato con Anas, Rfi, ma anche Enel, Eni e coloro che dovranno occuparsi delle bonifiche, in modo da veicolare al meglio le risorse”.

Così viene meno l’influenza della politica e degli enti locali, oppure no?

“Ci sono talmente tante risorse a disposizione – circa 15 miliardi di soli investimenti – che anche le iniziative che vengono dagli enti locali e della pubblica amministrazione potranno trovare spazio. Intanto, però, utilizziamo le cose già pronte e puntiamo sul digitale. E’ da tre anni che in quel settore aspettiamo di attivare la spesa”.

Cosa pensa della corrida di questi giorni? Meglio giallo, rosso o arancio?

“Forse alle nostre imprese sarebbe convenuta la zona rossa, una chiusura totale. Mantenere i costi di servizio, abbattendo del 70% gli introiti, provocherà altri danni. Continuando a lavorare, inoltre, lo Stato non dovrà nemmeno risarcirle. A Roma bisognava prevedere risorse più cospicue e un’altra strategia: fermi un mese e, poi, ripartire”.

Conte ha detto che la “classificazione del rischio”, con la suddivisione in fasce, è stata utile a evitare un altro lockdown generale, contro cui il Paese rischiava di andare a sbattere.

“Il lavoro sui parametri è corretto, ma non coglie il risultato: da un lato fare in modo che si fermi il virus; dall’altro che le nostre imprese non tracollino. Detto ciò, bisogna pensare a ciò che va fatto domattina, non fra un anno o due, per far ripartire le aziende. Se questo fiume di denaro che arriva dall’Europa, sarà messo a disposizione della nostra comunità, delle nostre imprese e di chi ci lavora, sarà più facile per chi ha subito danni tornare a produrre, e avere la speranza in un futuro migliore”.

Detto che un miliardo e mezzo sono spiccioli rispetto a quelli previsti dal Recovery Fund, non pensa che il totale immobilismo dell’ultima Finanziaria regionale sia un fallimento delle politiche economiche della Regione siciliana?

“Prima che venisse approvata la Finanziaria, avevo colto dei segnali strani. Dopo averli riportati al vostro giornale, l’assessore Armao si è quasi raggelato. Ma io – ci tengo a sottolinearlo – non faccio considerazioni che riguardano le persone, bensì le loro azioni politiche. A me pare di capire che l’assessorato all’Economia sia andato in sovraccarico. Forse all’assessore andrebbe tolto il peso dell’Arit (il dipartimento per l’innovazione) o di questo nuovo compito che gli è stato affidato dal presidente della Regione, cioè collazionare le schede da mandare a Roma per il Recovery Fund. O, dato che forse è stanco, Musumeci dovrebbe liberarlo del tutto”.