I protagonisti sono quelli di sempre: il vicerè berlusconiano nell’Isola, Gianfranco Micciché, che è stato confermato da Arcore sulla plancia di comando; la messaggera del Cav., Licia Ronzulli, che ha tentato (invano) di distribuire ramoscelli d’ulivo; e poi i ‘dissidenti’ Marco Falcone e Gaetano Armao, alla guida di una frangia che da mesi – facendo sponda col senatore Schifani – chiede di commissariare il commissario.

Agli attori della ‘crisi’ di Forza Italia, però, negli ultimi giorni si è aggiunto un protagonista inatteso: Marcello Dell’Utri. L’ex senatore, uscito dal carcere nel 2019 dopo aver scontato cinque anni per concorso esterno, si è iscritto alla partita autonomamente. E come racconta oggi Repubblica, sarebbe lui, dal quartier generale dell’Hotel delle Palme di Palermo, a dare manforte ai rivali interni di Micciché. Il rapporto col suo vecchio pupillo – dai tempi di Fininvest – si sarebbe sgonfiato e Dell’Utri, sempre a sentire i rumors, sarebbe transitato sull’altra sponda del fiume Acheronte. Tra i sostenitori di Musumeci, che gli avrebbe promesso di fare il possibile per trasferire in Sicilia la sua immensa emeroteca.

Il ruolo di Dell’Utri, che ha partecipato anche al finto matrimonio del Cav. con la Fascina, non è “istituzionale”. Eppure è una leva utile ai dissidenti per mettere pressione ad Arcore, provando la spallata decisiva nei confronti dell’attuale commissario azzurro. Garantisce una copertura ai “ribelli”, che al termine della riunione con la Ronzulli, e nonostante l’invito della senatrice a uscire dalla Torre Pisana con una sola voce, hanno disobbedito rilanciando come “prioritario il cambio della guida del partito in Sicilia”. Un’ondata gelida dopo nove ore alla ricerca di un compromesso.

Il risultato dell’incontro di venerdì è lo stallo. E la spaccatura consolidata del partito. Anche se Miccichè, per il momento, può dirsi al riparo da possibili sorprese: Berlusconi non ha mai pensato di rimpiazzarlo. Gliel’ha confermato anche la Ronzulli. E ora che gli ex renziani Tamajo e D’Agostino fanno parte del gruppo parlamentare, la frangia ‘lealista’ è tornata maggioranza: 8 a 7. Quindi potrà essere evitato, ad esempio, un ribaltone per l’elezione del capogruppo (dopo il tentativo di qualche settimane fa, spirato di fronte ai regolamenti dell’Ars).

Ma i problemi restano, eccome. Perché mancano poche settimane alle elezioni Amministrative e la convergenza su Ciccio Cascio è minata dalle uscite dello stesso Dell’Utri, che farebbe il tifo per Lagalla. Ma anche da Armao, che nella sua ultima ricognizione sulle partecipate della Regione, per dimostrarsi ‘iperattivo’ agli occhi della commissione Antimafia – che lo ha ripetutamente interrogato per lo scandalo di Sicilia Patrimonio Immobiliare e per lo sfascio dell’Ast e degli altri carrozzoni –  ha puntellato il dossier con una nota velenosa sulla Fondazione Federico II, sottolineando il ritardo nell’approvazione di un paio di bilanci. Peccato che la Federico II, di cui è presidente Micciché, dipenda dall’Ars e non dalla Regione medesima. Uno sgarbo e nulla più.

Il vero punto di non ritorno, però, è quello delle prossime Regionali: con Micciché e soci che remano contro Musumeci, e i ‘guastatori’, invece, che si sono organizzati in una sorta di compagnia di ventura al servizio di un papa straniero. In questo modo sarà difficile, se non impossibile, garantire la convivenza all’interno dello stesso contenitore. Non potranno esserci Forza Italia 1 e Forza Italia 2. La conseguenza più logica sarebbe una scissione e una moria di consensi che nel continente si è rivelata endemica.

Devoti ma senza voti. Un trittico per la Sicilia