Renato Schifani continua a governare la Sicilia a suon di annunci e di cazziate. L’ultima – un avvertimento in piena regola – riguarda i futuri direttori generali delle Asp (nel senso che non sono stati formalmente nominati). I futuri contratti (non ancora firmati) potranno essere revocati in caso di gravi inadempienze già dopo un anno. In realtà i manager sono in carica da circa quattro mesi, seppur con le mani legate. Se non riuscissero a rispettare gli obiettivi posti dal governo per l’abbattimento delle liste d’attesa, rischiano il posto. Il messaggio, che sotto il profilo sostanziale non esigerebbe alcuna rettifica (viva il merito), suona balordo alla luce del trattamento che lo stesso governo ha riservato ai manager, alla sanità in generale e soprattutto ai pazienti, che vivono il riflesso delle sue sciagure sotto il profilo gestionale e programmatico.

A ottobre dell’anno scorso, anziché ammettere che le nomine erano impossibili per le liti interne alla maggioranza, s’inventarono la storia dell’aggiornamento degli elenchi dei direttori sanitari e amministrativi. Parlò per tutti Gaetano Galvagno, presidente dell’Ars, prospettando una soluzione “avveniristica”: “Vorrei che si riflettesse su un dato: le selezioni che riguardano gli elenchi degli idonei al ruolo di direttori sanitari e amministrativi, nomine che spettano ai dg, non sono ancora andate a termine. Chiederemo al presidente di riflettere se sia il caso di nominare dei direttori generali che non avrebbero ancora la possibilità di espletare in pieno le loro funzioni”. Il presidente, dopo un’attenta riflessione, decise che sì, era meglio rinviare. Di quattro mesi per l’esattezza. La nomina dei manager di Asp e ospedali, infatti, si concretizza il 31 gennaio, ma gli intoppi non mancano: su 8 dei 18 “fortunati” incombe l’ombra di un procedimento giudiziario; ad alcuni – almeno tre – manca il prerequisito della competenza. Altri non avrebbero le carte in regola.

Così, con un colpo di reni degno del peggiore avanspettacolo, la prima commissione dell’Ars, cui spetta un parere definitivo sulle nomine del governo, richiede un’integrazione documentale per fare luce su tutte le anomalie. E bravi i nostri deputati. Dopo aver letto e riletto le carte, quand’era il momento di decidere, i cuori impavidi di Sala d’Ercole però non si presentano, e lasciano che scadano i termini. Si chiama silenzio assenso. E’ una forma patetica, specie se praticata dalla stessa opposizione, che serve ad avallare le scelte del governo, concedendosi la possibilità di criticarle comunque. Ebbene, neppure quella basta a Schifani e Volo (è notizia di ieri il suo coinvolgimento in un’indagine della Procura di Messina) per trasformare i commissari straordinari in direttori generali. Intanto la data del voto europeo s’avvicina e l’assessore deve rimangiarsi l’ultima promessa: cioè procedere entro la scadenza elettorale.

Non avverrà, perché il governo, perseguendo la teoria dell’alibi a ogni costo, decide di apportare delle modifiche ai contratti (che tempismo!), facendo slittare tutto. Stavolta è Schifani, con una nota diramata da Palazzo d’Orleans, ad assumersi il merito dell’iniziativa: saranno fissati, infatti, specifici e concreti obiettivi relativi all’abbattimento dei tempi per l’accesso alle cure e alle prestazioni sanitarie; verrà introdotta, inoltre, una verifica annuale sul raggiungimento degli obiettivi individuati oltre a un costante monitoraggio a cadenza trimestrale, effettuato attraverso i dipartimenti regionali Pianificazione strategica e Attività sanitarie, per garantire ai pazienti tempestività di accesso alle cure. Il mancato rispetto degli obiettivi specifici, concreti e misurabili – riferisce la presidenza – comporterà l’immediata risoluzione del rapporto di lavoro già dopo la verifica al primo anno di contratto.

Ma che bravi questi controllori, che esercitano il controllo su una figura che loro stessi, da mesi, non riescono a nominare. Paiono le stesse “minacce” inoltrate, qualche giorno fa, ai direttori generali dei Dipartimenti regionali che non erano riusciti a chiudere il riaccertamento dei residui passivi, atto propedeutico a liquidare i pagamenti alle imprese. Schifani li richiamò all’ordine, spiegando che “il mancato adempimento” di tutte le richieste dalla ragioneria generale “sarà considerato grave inadempienza dirigenziale e sarà oggetto di un’apposita valutazione da parte della giunta regionale per l’applicazione di eventuali sanzioni, compresa la revoca dell’incarico”. Sbattere i pugni e agitare la revoca è diventato, forse, l’unico strumento per farsi ascoltare dai burocrati. Ma anche dall’opinione pubblica, che attraverso il racconto sempre inappuntabile dei giornali, può farsi un’idea su questa svolta decisionista da parte dei nostri governanti. “Decidere senza indugio”, è la parola d’ordine.

Macché. Tutto questo fa parte di uno schema ben collaudato, che in campagna elettorale diventa un mantra: meglio l’immobilismo che una mossa sbagliata. Alla strategia della cazziata, si aggiunge poi quella dei bluff. Come nel caso dei 300 milioni da investire sull’emergenza siccità. Poiché non bastano le briciole promesse da Roma (20 milioncini per comprare le autobotti ai Comuni), Schifani avrebbe convinto la giunta a rimodulare l’Accordo di coesione con Palazzo Chigi, grazie al quale arriveranno in Sicilia oltre sei miliardi di fondi Fsc (di cui una grossa fetta, un paio, già “impegnati” su Ponte e termovalorizzatori). L’accordo con la Meloni esiste solo su grandi linee, non è ancora stato siglato dal ministro Fitto e già viene modificato per fare fronte a una serie di interventi – a cominciare dalla riattivazione dei dissalatori – che richiedono anni d’attesa.

Per il momento si potrà continuare a morire di sete; l’agricoltura potrà andare in frantumi e la zootecnica pure. Ma sullo sfondo c’è questa promessa di impegno che dovrà passare al vaglio del governo centrale e, in seguito, incastrarsi ai numerosi progetti rimasti in fieri. I 31 presentati dai Consorzi di Bonifica nell’ambito delle misure previste dal Pnrr, infatti, furono tutti bocciati, e solo una decina di essi hanno ricevuto dei finanziamenti attraverso altri canali di spesa. Qui bisogna capire cosa fare e quanto tempo ci vorrà, nella certezza – però – che la siccità è adesso e non perdona.

Altro argomento sensibile, dove fin qui sono tante le parole spese e pochissimi i fatti, è quello che riguarda i termovalorizzatori. Non c’è una data certa sull’inizio dei lavori per la realizzazione dei due impianti, né la gara per la loro aggiudicazione. Manca persino il piano dei rifiuti aggiornato, vero punto di partenza di un iter che si annuncia farraginoso e lungo. Eppure, con un colpo di teatro, il “commissario” Schifani ha comunicato di aver individuato due aree, a Catania e Palermo, in cui allocarli. Ci sono le aree, ma tutt’intorno c’è il deserto (amministrativo). La promessa è quella di “procedere prima della fine dell’estate, una volta approvato definitivamente il Piano rifiuti, all’affidamento delle due analisi tecnico-economiche che saranno poste a base dell’appalto integrato per la progettazione esecutiva e la costruzione”.

Ci sono dei tempi tecnici che renderanno il percorso una gara a ostacoli; ci sono promesse che addolciscono il presente; ritardi endemici – non solo sulla munnizza – che macchiano la reputazione; e bluff che è facile (ormai) individuare. E poi ci sono le cazziate, per rendere tutto un pochino più credibile. Il gioco, però, è stato svelato ampiamente.