Una mano dà, l’altra toglie. Sembra una storia già vista, anche se gli interpreti sono più attuali che mai: si tratta del Ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini, e del presidente della Regione siciliana, Renato Schifani. Entrambi, a cavallo di Ferragosto, hanno trovato di che esultare nonostante il tentativo – quasi obbligato – di rimodulare risorse per 2,5 miliardi a valere sul Pnrr e destinati, originariamente, a opere da realizzare al Sud. “Non ci sono i tempi”, è la giustificazione addotta, fra gli altri, dal Ministro Fitto. Le opere devono essere immediatamente cantierabili, ma soprattutto non si può andare oltre la scadenza del 31 dicembre 2026 per la loro realizzazione, pena la revoca dei finanziamenti.

Ma Salvini, la cui cifra di governo è rilanciare sempre e comunque, ha trovato un escamotage. Anzi, due: “Nessuna delle opere immaginate nel Pnrr ereditato dall’attuale governo verrà cancellata – ha dichiarato all’indomani dell’alert -. Al massimo, saranno finanziate con altri fondi per rispettare gli accordi con l’Europa e assicurare la realizzazione dell’infrastruttura”. Con il secondo annuncio si è andati addirittura oltre: “Quasi 28 miliardi di euro pianificati per strade e autostrade in Sicilia e in Calabria, 47 miliardi in totale per le reti ferroviarie – diceva una nota del Mit di un paio di giorni fa -: investimenti senza precedenti che il vicepremier e ministro Matteo Salvini ha in programma per rilanciare le infrastrutture al Sud, anche in vista della realizzazione del ponte sullo Stretto di Messina”.

Insomma, il leader della Lega ha trasformato il rischio di una defaillance in un successo duplice. E c’è chi ha apprezzato, nonostante tutto: come il governatore Renato Schifani, che da qualche settimana a questa parte, mentre litigava con Urso, ha rafforzato l’asse strategico con l’esponente del Carroccio. Entrambi hanno seguito insieme, senza impensierire la Sac, la crisi dell’aeroporto di Catania, che ha operato per venti giorni a scartamento ridotto. Ma aiutarsi nelle difficoltà rende tutti più sensibili: da qui i continui elogi di Schifani e Salvini, il quale ricambiava spiegando che i canali col presidente siciliano erano aperti più che mai. Guai, però, a scambiare la collaborazione istituzionale con la propaganda. “Il vasto piano di investimenti sulle infrastrutture della Sicilia avviato dal ministero dei Trasporti – ha sottolineato Schifani – consentirà alla nostra regione di fare un grande salto di qualità negli spostamenti interni. Sono state programmate sia opere stradali sia ferroviarie che, associate al Ponte sullo Stretto, permetteranno all’Isola di avere una viabilità finalmente moderna, efficiente e pienamente connessa col resto del Paese e d’Europa”.

Già, ma quando avverrà tutto questo? Schifani si posto una domanda sull’enorme piano d’investimenti promosso da Salvini? Si è chiesto chi ci mette i soldi? Perché il nodo della vicenda, che non convince gli osservatori più attenti, sta proprio qui. Riassumendo: Salvini, per l’Isola, ha prospettato “investimenti per circa 15 miliardi di euro con particolare attenzione alle strade statali di collegamento, alle tangenziali di Palermo, Agrigento e Catania e ai lavori dell’autostrada Siracusa-Gela”. Che – piccola e doverosa parentesi – è rimasta ferma a seguito delle rivendicazioni della Cosedil, che non riceve più pagamenti da parte del Cas: se entro il 7 settembre non si sblocca la situazione, la ditta minaccia l’interruzione dei cantieri.

Detto questo, e senza che nessuno verificasse la bontà delle affermazioni di Salvini, il vicepremier ha promesso altri 13 miliardi per la rete ferroviaria, che oggi sconta ritardi endemici (sia a livello di mezzi che d’infrastruttura). Tra gli interventi segnalati dal leghista ci sono “il nuovo collegamento veloce Palermo-Catania-Messina, il ripristino ed elettrificazione della linea Palermo-Trapani via Milo, i collegamenti con gli aeroporti di Trapani Birgi e di Fontanarossa, la Caltagirone-Gela, per fare qualche esempio di opere attese da tempo”. Anche in questo caso Schifani gli è andato dietro: “Fra l’altro – ha aggiunto il governatore – abbiamo ricevuto garanzie sul fatto che le risorse mancanti per alcune tratte della nuova linea ferroviaria Palermo-Catania saranno recuperate da Rfi nel nuovo accordo di programma. Ci sono tutte le basi per lanciare una nuova stagione per le infrastrutture siciliane e, di questo, va dato merito al ministro Salvini”.

Perché, quindi, dubitare delle parole del Ministro? Lo spiega l’Huffington Post, con un’attenta disamina affidata a Luca Bianco: “Le risorse annunciate in zona Cesarini (circa 75 miliardi per Sicilia e Calabria, ndr) riguardano investimenti programmati da Anas e Rete Ferroviaria Italiana da qui ai prossimi dieci anni, e non domani, dunque. In più, come si legge in un report a firma della società di analisi Bridges Research guidata da Marco Ponti, si tratta di risorse decisamente esagerate per l’obiettivo che si pongono: come il raddoppio dell’Alta velocità Salerno-Reggio Calabria, quasi sedici miliardi di euro destinati a far risparmiare solo 40 minuti di tempo di percorrenza”.

A confermare il quadro era stato, durante una giornata di convegni dedicata al Ponte sullo Stretto a luglio, l’amministratore delegato del gruppo Ferrovie dello Stato (di cui fanno parte, come controllate, le società Rete Ferroviaria Italiana, e Anas), Luigi Ferraris: “Il Ponte sullo Stretto si inserisce in un contesto infrastrutturale più ampio, che in Calabria e in Sicilia vedrà il Gruppo FS investire nei prossimi dieci anni 80-90 miliardi di euro per potenziare una rete che porterà benefici all’Italia e all’Europa”. La lunga attesa non è per niente incoraggiante.

“Il maxi-investimento su ferrovie, strade e autostrade porterà benefici alle due regioni”, continua HuffPost, ma c’è un problema “strutturale sul quale il ministro evita prudentemente di intervenire: la capacità di mettere effettivamente a terra questi soldi. Già, perché se nel 2033 Calabria e Sicilia sono destinate a diventare “centrali nel Mediterraneo e in Europa” grazie al Ponte, non lo diventeranno di sicuro nei prossimi tre anni”. E tutto ciò dipende anche dalla rimodulazione dei due miliardi e mezzo del Pnrr: “In un’informativa del ministero delle Infrastrutture inviata al Cipess di Palazzo Chigi, si fa riferimento alla necessità di definanziare dal Pnrr alcuni investimenti che nel 2023 rischiano di fermarsi nella loro realizzazione. Si tratta di un pacchetto di opere, concentrate soprattutto al Sud, che non sarebbe possibile realizzare entro la data di scadenza del 2026 – pena la perdita delle risorse europee – a causa di problemi di eccessiva urbanizzazione o legati all’impervietà del territorio”. Insomma, rimarremo a bocca asciutta per un po’. In attesa della grande abbuffata che si consumerà nei prossimi dieci anni. Quando persino il Ponte, che nel frattempo ha visto decuplicare i costi di realizzazione, dovrebbe finalmente vedere la luce. Dovrebbe.