Se la matematica non è un’opinione e si applica anche alla politica, qualcosa dovrà cambiare. I famosi ritocchi al motore promessi da Musumeci, fin qui soffocati dalla calura estiva e dalla voglia, da parte del governatore, di non seguire le orme di Crocetta (che di assessori ne sostituì 35), in autunno potrebbero diventare aggiustamenti veri e propri. Qualcosa all’Ars e nella politica siciliana sta cambiando e nel centrodestra nessuno può ignorarlo. Tanto meno il presidente della Regione, che l’altro giorno è venuto a capo del “collegato” alla Finanziaria con una certa padronanza: 32 voti favorevoli (quelli presenti) e maggioranza compatta. Anche se Musumeci preferisce chiamarla coalizione, come per non dare eccessiva confidenza alle altre anime del centrodestra, con cui il feeling non è mai stato così banale. Ricordate la tensione con Forza Italia su candidabili e incandidabili alla vigilia delle elezioni Regionali? Non si è ancora sopita. Miccichè ha confermato di essere al fianco del presidente della Regione, ma non all’infinito. “Da un po’ di tempo mi sembra che qualcuno dei suoi ragazzi stia facendo di tutto per rompere il gruppo di Forza Italia – ha commentato a Buttanissima il numero uno dell’Ars – Questo non potrà mai succedere. Non dico che Musumeci debba meritarsi questa alleanza, ma rifiutarla non mi pare il caso. Dimostri che è contento di averci al suo fianco”.

Uno dei momenti più significativi della grande tensione tra Forza Italia e Diventerà Bellissima, negli ultimi mesi, è stata la lite fra Alessandro Aricò e Giuseppe Milazzo a Sala d’Ercole, dopo che il neo eurodeputato – all’epoca fu l’ultimo ballo all’Ars da capogruppo – prese di mira l’inefficienza di Gaetano Armao, che gli azzurri non hanno mai fatto mistero di non gradire. Non più. Finché il nodo non verrà sciolto, i due gruppi più forti della maggioranza (numericamente) continueranno a guardarsi in cagnesco. In questo contesto non ha aiutato il “travaso” di Luigi Genovese, passato fra i ranghi di “Ora Sicilia”, in quota Musumeci. Anche con i Popolari e Autonomisti, nell’ultimo frangente, qualcosa scricchiola: Saverio Romano, leader esterno del gruppo (esterno perché non siede in assemblea), ha salutato con fastidio il “mercato delle vacche” e pur ribadendo la stima in Musumeci, ha suggerito al presidente di guadagnarsela sul campo la fiducia.

Forza Italia e centristi contano su una flotta complessiva di 16 parlamentari all’Ars. Quasi la metà della coalizione. Forza Italia, oltre a Genovese, ha appena perso Rossana Cannata, passata con Fratelli d’Italia. Il contingente si restringe a dieci unità. Potrebbe fare la stessa fine il deputato etneo Alfio Papale, fresco di nomina (per l’addio di Milazzo) in commissione Sanità. In azione c’è la Meloni, che in queste ore sta tentando di raccogliere tutti i delusi di tutti gli schieramenti. Oltre alla Cannata, all’hotel Sheraton di Acicastello ha benedetto l’arrivo del sindaco di Catania Salvo Pogliese e dell’ex vice coordinatore regionale di Forza Italia Basilio Catanoso. Di una decina di sindaci – soprattutto del Catanese – e di circa trecento amministratori locali. Ma la campagna acquisti non è finita, come dimostra l’interessamento dell’ultima ora nei confronti di Papale. Sarebbe il quinto parlamentare della fiamma, a fronte di un solo assessore (fresco di nomina fra l’altro: Manlio Messina). Perché a FdI un solo assessore e ai “centristi”, con sei deputati, addirittura tre? La posizione di uno fra Cordaro e Lagalla sembrava vacillare, ma al momento la giunta si è assestata: l’unica casella da riempire sono i Beni culturali. Con un tecnico, però.

Fratelli d’Italia, reduce da un grande risultato alle Europee, è il partito con più appeal. Rappresenta la sala d’attesa dei sovranisti, l’approdo più scontato per tutti coloro che avrebbero preferito passare con Salvini, ma che hanno trovato nella nuova Lega le porte sbarrate. Lo stesso Pogliese ha ammesso candidamente le trattative con Candiani e il Carroccio, prima di puntare sul “ritorno a casa”. Fratelli d’Italia, così, ha cominciato, con discrezione, a saccheggiare le riserve e scompaginare i piani altrui. Da Forza Italia, che la Meloni ha smesso di vedere come potenziale alleato per il futuro, ai Popolari e Autonomisti – è recente la frattura con Raffaele Lombardo quando l’accordo per Bruxelles era già pronto – ai quali vorrebbe rosicchiare un po’ di rappresentanza nelle istituzioni. E Giorgia, a cui Musumeci prima del 26 maggio aveva predetto un risultato fra il 2 e il 3% (alla fine ha preso quasi l’8%), potrebbe mettere all’angolo il governatore, con cui i rapporti non sono più idilliaci: “Non capisco le sue scelte politiche” ha dichiarato a margine dell’evento dello Sheraton, cui erano presenti uomini di spicco del partito fra cui Ignazio La Russa e il presidente della Regione Abruzzo, Marco Marsilio. Anche l’eurodeputato Raffaele Stancanelli, che di Diventerà Bellissima era stato uno dei fondatori (prima della rottura dei mesi scorsi), in settimana ha lanciato un’opa sul suo vecchio movimento: “Nessuna rivincita. Ma mi auguro, piuttosto, di essere l’avamposto di tanti amici che con me hanno lavorato in Diventerà Bellissima e che, come me, possano comprendere che questa è la casa ideale”.

Nella lotta fra destre, però, c’è un altro aspetto da considerare: Musumeci, a fronte di una decina di parlamentari compresi quelli di “Ora Sicilia”, in giunta ha soltanto Ruggero Razza alla Sanità. Sarebbe lecito che il gruppo natìo, condotto da Luigino Genovese, fra un po’ chiedesse l’indirizzo dell’esecutivo. E sarebbe impossibile dirgli di no. Relativamente comoda, invece, la posizione dell’Udc, che qualche settimana fa ha salutato l’adesione di Danilo Lo Giudice, portando a sei (che non sono affatto pochi) i suoi rappresentanti in Assemblea. Tra cui Vincenzo Figuccia, che un giorno sì e l’altro pure punzecchia Forza Italia, e voci di corridoio danno sempre più vicino alla nuova stampella del governatore.

Fuori da tutto – non ha i numeri, né interessi – c’è la Lega. Con cui Musumeci vorrebbe consolidare un asse, ma la mossa di Genovese & friends (e tra i friends c’è anche l’ex leghista Tony Rizzotto) ha raffreddato gli entusiasmi e congelato i piani: “Sono degli scappati di casa” ha commentato Candiani, l’uomo di Salvini nell’Isola. Il Carroccio rimane un partito fortissimo (quasi il 21% alle ultime Europee) senza uno straccio di rappresentante all’Ars. Strano. Quanto potrà durare? Alla fine di questa infornata di numeri, che confermano il raggiungimento della soglia “sicurezza” per la maggioranza rabberciata – con l’adesione della Lantieri, la coalizione passa da 35 a 36 deputati – non si può certo dimenticare il contributo di Sicilia Futura, che qualche tempo fa ha preso le distanze dal Pd e, in generale, non ha mai fatto mancare il sostegno al governo in stato di necessità. Edy Tamajo, fra l’altro, l’ha lanciato Micciché con Grande Sud e potrebbe sempre ripensare a Forza Italia. Più difficile per Nicola D’Agostino, ma l’asse fra Totò Cardinale e Miccichè regge, soprattutto dopo le Europee e il patto della Madonnina (i voti di Sicilia Futura andarono a Milazzo e Musolino). 37 a 33 per Musumeci. Gli basta per governare, ma non per respirare. La pace è un’altra cosa e se ne riparlerà a settembre.