Leggo reazioni indignate alla dichiarazione di Alessandro Borghese secondo il quale “lavorare per imparare non significa necessariamente essere pagati”. Evidentemente chi si ribella a questa ovvietà non sa cosa significhi sbattersi per apprendere un mestiere, lasciarsi conquistare da una passione, sacrificarsi oggi per godere domani.

Solo quest’era social poteva lasciare che una frase così scontata per noi ex giovani divenisse pietra dello scandalo. Ho più volte espresso la mia avversione (anche ideologica) nei confronti del lavoro gratuito e, nel contempo, ho espresso gratitudine per chi mi ha sopportato e supportato agli inizi della mia attività professionale. Certo quando mi presentai, imberbe e rincitrullito da una giovinezza selvaggia, a Giuseppe Sottile non gli chiesi né quanto avrei guadagnato né quanto avrei lavorato. Chiesi semplicemente di poter scrivere. Sempre. Comunque. Avrei pagato io, altro che cazzate social. E lo possono testimoniare amici cari (e giornalisti più anziani di me) come Totò Rizzo e Angelo Morello coi quali ho condiviso, insieme ad altri, quel cammino difficile ed entusiasmante. Occhio: era un periodo in cui i giornali ancora “esistevano” e muoversi nella selva palermitana, siciliana, era molto complicato.

Invece siamo qui a blaterare sul presunto scandalo di ovvietà che prevedono un impegno straordinario per chi vuole imparare un mestiere, che ci certificano che non è vero che uno uguale uno. Che essere migliori degli altri non è un disvalore, che lavorare di più non è un reato, che per cercare un posto meno traballante possibile bisogna farsi sotto quando tutti gli altri se ne vanno.

Nei giornali si entra d’estate, è il mio mantra da giornalista stagionato. Mio e dei miei colleghi-coetanei.
Nel 1985 smisi di fare vacanze estive e mi tuffai in una passione che mi avrebbe ripagato a tal punto da suscitare in me meraviglia quando, a un certo punto, mi accorsi di essere stipendiato per scrivere. Io, che avrei pagato di tasca mia per vedere la mia firma su un giornale.

Io, che oggi sono orgoglioso di ciò che oggi qui viene descritto come immane sacrificio e che invece per me, e per quelli di varie generazioni senzienti, è stato e sempre sarà una felicissima, difficile, conquista.

P.S.
La foto è solo un appiglio di verità in quest’era di fandonie certificate.