L’aumento delle indennità dei deputati non si tocca. E’ il clamoroso verdetto di giovedì notte dopo una (tentata) marcia indietro che aveva coinvolto anche i Fratelli d’Italia, torchiati per bene da Meloni. Il voto segreto cancella le tracce dei protagonisti, ma l’emendamento abrogativo proposto da Cateno De Luca (su cui non si esprime nemmeno il diretto interessato) viene respinto con 29 voti contrari suscitando lo sdegno dei Cinque Stelle: “La mancanza degli otto voti dei deputati di Sicilia Vera e Sud chiama Nord – dice il capogruppo M5S Antonio De Luca – ha determinato la bocciatura dell’emendamento presentato dallo stesso Cateno De Luca, visto che la norma non è passata solo per 5 voti. E’ evidente a questo punto che l’azione fatta da Cateno De Luca era solo a scopo propagandistico e non mirava assolutamente a bloccare gli aumenti delle retribuzioni”.

Il duetto con l’ex sindaco di Messina dura tutto il giorno, con accuse e insulti reciproci: “Registriamo in atto il solito sciacallaggio politico a Cinque Stelle. Alcuni deputati della maggioranza – è la ricostruzione di Scateno -, d’accordo con la finta opposizione, hanno richiesto ed ottenuto la votazione segreta e nel segreto dell’urna hanno bocciato la nostra proposta. Abbiamo scelto di non partecipare alla votazione per stanare l’accordo politico trasversale” e smascherare “il solito inciucio d’aula. D’altronde il Movimento 5 Stelle, e quindi Nuccio Di Paola e i suoi sodali, sapevano benissimo da mesi, essendo nell’ufficio di presidenza, che nel bilancio dell’Ars sarebbe finito questo aumento ma hanno taciuto. Lo hanno fatto con la solita premeditazione e oggi tentano di mistificare la realtà”. I deluchiani hanno già presentato un ddl per abrogare la norma: “Ciascuno dovrà assumersi le proprie responsabilità senza la possibilità di nascondersi dietro la segretezza del voto”.

Ma ripartiamo daccapo. Il provvedimento adottato dal parlamento siciliano, alla vigilia del dibattito sulla manovra Finanziaria, non contiene in alcun modo profili di irregolarità. Anzi, è previsto dalla legge regionale n.1 del 2014 che aveva provveduto, nel contempo, a stabilire il tetto degli stipendi degli onorevoli: 11.100 euro lordi fra indennità parlamentare e diaria. Non un centesimo in più. La norma prevede inoltre “che la misura del trattamento sia soggetta ad adeguamento secondo la variazione dell’indice Istat del costo della vita. L’aumento deciso dell’inflazione nell’anno trascorso – fanno sapere dagli uffici – ha pertanto portato a una rimodulazione in aumento della spesa”. Il costo della vita avrà certamente influito sugli “ultimi”: dai precari ai pensionati ai giovani in cerca d’occupazione. Un po’ meno sui parlamentari, che a distanza di ore hanno capito la gaffe.

Così, con una precipitosa corsa all’indietro, hanno cercato di rimediare. “I deputati regionali si alzano lo stipendio di 900 euro al mese. Tranne noi”, scrivevano i 5 Stelle su Facebook. Una maniera più semplice, e forse un po’ troppo semplicistica, per annunciare l’intenzione di rinunciare al “bonus”: “Gli aumenti Istat degli stipendi dei deputati saranno pure automatici, ma in un momento come questo, in cui famiglie e imprese soffrono terribilmente, rischiano di essere immorali. È per questo che ci rinunceremo e devolveremo le somme relative a progetti per la pubblica utilità, come del resto abbiamo sempre fatto con parte dei nostri stipendi”. Il progetto è al vaglio degli uffici: “Stiamo verificando come abrogare o annullare gli effetti della norma che costituisce uno schiaffo in faccia ai cittadini. Gli altri partiti facciano quello che credono, noi pensiamo e operiamo come Movimento 5 stelle”.

Erano in aula anche loro quando il bilancio interno dell’Ars è stato votato senza colpo ferire. Semplicemente annuendo alla lettura (rapida e da prassi) del presidente Galvagno. E c’era pure Cateno De Luca, che però aveva un alibi: “Il consiglio di presidenza dell’Assemblea, dove sono rappresentati tutti i partiti di maggioranza e di opposizione, tranne Sicilia Vera e Sud chiama Nord”, in quanto i due segretari d’aula non sono ancora insediati, “ha approvato nelle scorse settimane il bilancio dell’Ars, contenente, tra l’altro, un aumento dei costi delle indennità dei deputati. Il parlamento siciliano nella seduta del 7 febbraio ha approvato, senza la richiesta di nessun deputato di dibattere sul merito e quindi senza osservazioni ed opposizioni. Non abbiamo voluto indossare gli abiti dei “pierini”. Fare la gara oggi, dopo il clamore mediatico registrato, per disconoscere la paternità di questo aumento è un festival al quale noi non intendiamo partecipare”.

La questione è stata vissuta con imbarazzo anche a Roma. Il portavoce del presidente del Senato, Ignazio La Russa, ha smentito a ‘Repubblica’ un intervento diretto della seconda carica dello Stato per spingere Galvagno a trovare un modo “giuridicamente valido” per fare un passo indietro. Da Montecitorio, invece, era arrivata la denuncia di Davide Faraone, deputato di Italia Viva: “Lo scatto può essere bloccato, anche in Sicilia, come ogni anno, dal 2006 ad oggi, viene fatto dall’ufficio di presidenza della Camera dei Deputati. La verità è che l’aumento della diaria, per i 70 deputati regionali, è uno schiaffo in pieno volto ai cittadini che vedono crescere il costo delle bollette, del carburante, della spesa, la rata del loro mutuo, mentre i loro stipendi, le loro entrate, rimangono pietrificati, immobili, nessun adeguamento, nessuno scatto per tutti i poveri cristi. Adeguare gli stipendi al costo della vita, tagliare le tasse sul lavoro, di questo dovrebbe occuparsi una classe dirigente seria. Questo aumento è immorale, allontana ancor di più i cittadini dalle istituzioni, acuisce quello scollamento esistente e perdurante. Ritornare sui propri passi è l’unico modo per dimostrare buon senso”.

Sembrava potesse accadere, e invece no. Tra i difensori più strenui dell’aumento, e dell’autonomia dell’Assemblea siciliana rispetto alle ingerenze romane, c’è Antonello Cracolici: “Da 48 ore – ha detto in Aula – questo Parlamento subisce attacchi ingiustificati per un automatismo previsto da una legge di nove anni fa. Sono un uomo libero e non mi vergogno di dire che sono contro l’abolizione della norma e difendo l’autonomia di questa Assemblea”. Sulla stessa posizione molti della maggioranza – tra cui la Dc e alcuni assessori – e lo stesso Micciché: “Non è la prima volta che Roma interferisce – ha spiegato il commissario regionale di Forza Italia -. Siamo considerati lo schifo del Paese, qualsiasi cosa facciamo. Basta. Con l’indennità da parlamentare arrivo a fine mese e chiedo scusa a chi purtroppo non ci arriva. Ma non ho ville, non ho yacht e non rubo, si è montato un polverone su un automatismo. Avrei evitato di chiedere il voto segreto, purtroppo però in quest’aula ci sono colleghi che hanno paura della demagogia”.

L’aumento degli stipendi dei deputati regionali, peraltro, cozza con la battaglia dei sindaci. Che da un lato hanno rinunciato ad adeguare le proprie indennità a quelle dei colleghi di tutta Italia per evitare tagli alle risorse a carico dei bilanci comunali; e dall’altro sono stati “premiati” dal governo Schifani con una norma che stanzia 6 milioni. Non abbastanza per completare un percorso che prevede una dotazione finanziaria di 11 milioni e, come l’adeguamento Istat, sarebbe nel pieno e pedissequo rispetto della legge. Forse sarebbe bastata una sforbiciata qua e là alle marchette che inondano la Finanziaria per ottenere i cinque milioni mancanti. Forse sarebbe servito un altro po’ di buonsenso.

E comunque la Regione, as usual, si ritrova a tirare una coperta troppo corta: sulla base delle prescrizioni del commissario dello Stato, che è tornato a farsi vivo un paio di giorni fa, l’assessore Falcone è stato costretto a proporre un emendamento tecnico per ridurre del 10% gli articoli che prevedono voci di spesa, oltre al 3% su tabelle e allegati. Un modo per assecondare un principio prudenziale (che prevede il rispetto dell’Accordo Stato-Regione) e ottenere un risparmio complessivo di una trentina di milioni, evitando l’impugnativa dell’intera legge che nella notte ha ricevuto il definitivo via libera.

Approvata la Finanziaria con 35 voti favorevoli

Dopo una maratona durata 19 ore, l’Assemblea regionale ha approvato la legge di stabilità per il 2023: 35 i voti a favore e 22 i contrari. Il voto finale è arrivato dopo il via libera a due maxi-emendamenti e a un lungo elenco di norme aggiuntive. Ecco il primo commento dell’assessore Falcone: “La manovra si basa su tre pilastri: la certezza dei conti, il sostegno all’economia della #Sicilia, l’ascolto di tutte le forze politiche e sociali. Non c’è un solo ambito socio-economico che non viene toccato dall’iniziativa della Regione Siciliana, in una logica interventista ed espansiva: occupazione, imprese, sanità, disagio sociale, famiglie, precari. E ancora investimenti su trasporti, turismo, sport e cultura. Nei prossimi giorni il via alle prime misure”.

L’approvazione della manovra in tempi rapidi è un vanto anche per Schifani: “Dopo oltre dieci anni – dice il governatore -, la Regione può contare su una finanziaria operativa già ai primi giorni del mese di febbraio. Un primo grande traguardo che rappresenta un cambiamento della linea di tendenza nel rispetto dei tempi procedurali: un fatto di sostanza e non solo di forma. Uno strumento contabile esecutivo, infatti, consente all’amministrazione regionale di potere lavorare con serenità senza dover fare ricorso all’utilizzo dei dodicesimi, a causa dell’esercizio provvisorio. Nel pomeriggio, inoltre, la giunta approverà il bilancio consolidato 2021 che consentirà di liberare ulteriori risorse a favore dei cittadini. Una manovra finanziaria – aggiunge Schifani – che guarda al sociale, alla tenuta dei conti, alla crescita e allo sviluppo dell’Isola. Una legge di Stabilità nella quale abbiamo previsto risorse per i danni dovuti alle calamità naturali, per gli indigenti e per numerose categorie di lavoratori. È, comunque, solo un primo passo di un percorso che proseguirà nei prossimi cinque anni”.