Dopo otto ore di direzione, in cui si è fatto un gran parlare a basta, la riflessione più lucida è quella di Giuseppe Lupo: “Se c’è una cosa insopportabile è che il giorno dopo le elezioni tutti i partiti dicano di avere vinto. Per questo in Direzione Pd non ho approvato la relazione del segretario Barbagallo. Il PD in Sicilia il 25 settembre ha perso le elezioni ed è serio ammetterlo, ricercare le cause della sconfitta e mettersi a lavorare subito, convocando il congresso regionale, per recuperare il consenso dei cittadini”. Lupo, escluso dall’ultima competizione elettorale per un processo in corso, e bollato dalla Chinnici come ‘impresentabile’, ci ha messo la faccia. La Chinnici no. Se n’è rimasta lontana dalle beghe di partito, al quale ritiene di aver dato tanto, forse troppo, candidandosi alla guida della Regione. “Non voglio chiederle altri sacrifici – ha detto il segretario Barbagallo in un’intervista a Repubblica -. Ma ci sentiamo sempre e non smetterò di ringraziarla”. Capitolo chiuso, insomma.

Il segretario medesimo, invece, resta in piedi. S’aggiudica il traguardo intermedio della Direzione, dove la maggioranza (75 voti favorevoli e 14 contrari) approva la sua relazione e il suo mea culpa, circoscritto a un solo episodio: aver creduto al Movimento 5 Stelle: “Mi assumo ogni responsabilità politica, ma non mi presto al gioco dei manovratori di palazzo, a chi piega l’interpretazione del dato elettorale ai suoi scopi privatissimi – ha detto Barbagallo a margine dell’appuntamento del San Paolo Palace – Abbiamo perso le elezioni regionali, ma siamo la prima opposizione parlamentare”. La mezza vittoria di cui parla Lupo, insomma. “Il Pd non ha ottenuto il risultato sperato, ma è vivo, resta in piedi, per cui non accetto che si parli del Pd siciliano come di un partito finito – ha detto ancora Barbagallo –. Che lo facciano gli avvoltoi, esponenti di altri partiti che per sopravvivere vogliono erodere pezzi del nostro consenso, è lecito; che lo facciano esponenti del Pd per spirito di rivalsa o che lo facciano i fuoriusciti del Pd per legittimarsi oggi dopo avere corso contro il Pd, dopo avere brigato con gli avversari, dopo avere chiesto ai nostri iscritti di votare altre formazioni politiche, è insopportabile”.

Il tasto dolente, su cui si è accanito anche Antonello Cracolici (che alla fine ha detto sì alla relazione del segretario) riguarda la compilazione delle liste per le Politiche, che ha paracadutato in Sicilia parecchi stranieri, a partire dall’ex sindacalista Anna Maria Furlan: “E’ urgente dare esclusivamente alle direzioni regionali il potere di proporre e approvare le liste nazionali, senza dovere passare sotto il giogo delle Forche Caudine dell’approvazione nazionale, che di legislatura in legislatura determinano ferite insanabili – ha obiettato Barbagallo -. Avrei voluto avere la possibilità di salvare tutti gli uscenti. Non è stato possibile. Il dimezzamento dei parlamentari da un lato e le precise richieste che sono arrivate da Roma e dalle varie anime del Pd, che piaccia o no, hanno fatto il resto. Sono io il primo a ritenere che serva immediatamente una nuova forma di partito che restituisca autorevolezza agli organi regionali, ai territori e alle esperienze che rappresentano”.

Cracolici, che aveva rinunciato al Senato dopo l’operazione scavalco ai suoi danni, qualche giorno fa aveva partecipato alla direzione nazionale, cantandone quattro a Letta. Ieri s’è ripetuto: “Non abbiamo perso le elezioni lo scorso 25 settembre, le avevamo già perse prima, per gravi errori politici compiuti dalla direzione nazionali, a partire dal mettere in discussione, dopo anni, la prospettiva di alleanze, che ha avuto immediatamente ricadute. Il peso della partita siciliana non c’è stato, anche nel dibattito nazionale. Avevo manifestato la contrarietà a rompere il patto con il M5s, ho il rammarico di non avere insistito – affonda Cracolici -. Venuta meno la forza del partito siciliano e della sua centralità, gli errori sono stati a catena. Compreso le liste. Il tema è stato politico, il partito nazionale ha gestito la questione del partito regionale come una pratichetta, ed è passato il messaggio che la classe politica siciliano non conta nulla. E questo ciò che è stato detto all’opinione pubblica siciliana. Siamo un partito litigioso, e per questo la gente ci disprezza”.

Anche il vicesegretario nazionale, Peppe Provenzano, alla fine se l’è cavata intervenendo da remoto (era impegnato a Roma per l’anniversario dell’assalto fascista alla sede della Cgil): “Dovrò occuparmi più di Sicilia”. Ma i problemi restano lì, sul tappeto. Aver portato a casa la tregua (politica) non significa aver cambiato qualcosa. Non vuol dire aver colmato la richiesta di ‘sinistra’ che giunge dai cittadini e dai corpi sociali. Aver ribaltato le responsabilità sul Movimento 5 Stelle serve alla classe dirigente per giustificare se stessa, ma non una sconfitta che resta lancinante nelle proporzioni e nei numeri. E’ come nascondere la polvere sotto il tappeto e inabissarsi in un lungo sonno. Nulla di nuovo, insomma.