Il Bullo è tornato a fare il Bullo. Credevamo che, avendo ritrovato i ricchi pascoli di Palazzo d’Orleans, fosse diventato più mansueto. Invece no. Appena ha visto drappeggiare nel cielo il drappo rosso della legge è ridiventato di colpo violento, focoso, incendiario. Un piccolo Attila che di giorno se ne sta quatto quatto al centro delle istituzioni – addirittura nella stanza dorata messagli a disposizione dal Presidente – mentre di notte serra i denti e progetta vendette non solo nei confronti dei giudici costituzionali che hanno severamente condannato le sue malefatte del 2020, ma anche e soprattutto nei confronti della Corte dei Conti che ora pretende i dovuti risarcimenti per i danni erariali inflitti alle casse dello Stato.

Non gli può pace. Abituato da oltre vent’anni a nutrirsi allegramente nel piatto senza fondo del denaro pubblico, il Bullo mal sopporta il rigore e la legalità. E se un organo di controllo lo richiama all’ordine o gli chiede conto e ragione delle sue spregiudicatezze, lui diventa furioso come un toro scatenato e si lancia a testa bassa per incornare chiunque si azzarda a rovistare tra i suoi segreti, tra i suoi misteri, tra i suoi affari, tra le sue complicità. Finora però è andato a sbattere. E ci ha pure rimesso le penne. Ma non si è rassegnato. Il bersaglio principale della sua incontenibile rabbia è sempre e comunque il procuratore generale della Corte dei Conti. Il quale, manco a dirlo, è il magistrato che ha scoperto tutte le sue magagne; e non solo quelle nascoste tra le pieghe del bilancio regionale.

Il Bullo, con il suo fiuto da volpe argentata, annusa già da qualche settimana l’arrivo di una nuova tempesta e gonfia i muscoli. Avverte il rischio di un altro giudizio e medita con quale trucco far saltare il banco. Sente, ancora una volta, di avere sul collo il fiato della legge e sprizza veleno dagli occhi, dalle narici, da tutti i pori. Si dimena lungo i corridoi di Palazzo d’Orleans, cercando alleanze e racimola a stento il conforto del Presidente, il suo re Travicello. Cerca la solidarietà dei partiti e non ne pesca uno disposto a dargli credito perché nella sua lunga vita di traffichino prestato alla politica ha cambiato mille casacche e tutti i leader che lo hanno accolto sono stati ricompensati con un tradimento.

Non gli è rimasto dunque che ridiventare il gran Bullo dei tempi andati; di quando la nomenclatura del Palazzo gli consentiva ogni azzardo e ogni scempiaggine. E’ rientrato così bene nel ruolo, belluino e devastante, del piccolo Attila che l’altro ieri ha tentato addirittura un colpo di testa; o di teatro: scegliete voi. Ha bussato alla porta dell’assessore al Bilancio – sì, proprio di quell’assessore al quale, in maniera serpigna, ha sottratto molti poteri – e gli ha proposto, senza pudore, di sottoscrivere un atto di guerra, un altro ancora, predisposto dalla sua mente di Azzeccagarbugli per colpire – o sfregiare, poco importa – il procuratore della Corte dei Conti. L’assessore Marco Falcone, che è un gran galantuomo e un tenace garante delle istituzioni, lo ha ovviamente messo alla porta.

“Le lucciole che credevamo scomparse sono tornate”, scriveva Pier Paolo Pasolini in un momento di ritrovata fiducia nella salvezza della Terra. Da noi, in questa Sicilia fiammeggiata da arido sole, tornano solo i bulli. Impenitenti, arroganti, spocchiosi, impuniti.