Potreste dirgli che sa di muffa. Ma Silvio Berlusconi è stato il primo – con le contraddizioni che si porta dietro – a mettere un granellino nel perfetto ingranaggio dei partiti populisti. Mentre Lega e Cinque Stelle ingrassano il Paese di aspettative, e la sinistra è paralizzata, qualcosa ha ripreso a muoversi fuori dallo schema gialloverde. Il progetto di Berlusconi si chiama “L’altra Italia”, una federazione di centro che ha l’ambizione di riportare al voto le anime in pena della Terza Repubblica. Ma non è soltanto il Cav. Anche dalla Sicilia, da sempre laboratorio d’idee, si leva una voce autorevole. E’ quella dell’ex presidente della Regione Totò Cuffaro, che spinge in una direzione simile: “Oggi nel Paese c’è più voglia che mai di riavere un partito moderato. Basti guardare a quanti abbiano nostalgia della Democrazia Cristiana. Nel momento in cui la politica va avanti, questa capacità della gente di tornare indietro e ripensare a un partito come la Dc deve far riflettere”.

Fa riflettere, eccome. Cuffaro oggi fa il medico volontario in Burundi. Il 30 settembre tornerà in Africa per gestire l’ospedale di Kuruzi. Ma nel tempo libero un occhio alla politica lo butta sempre. E’ prodigo di consigli e, come per ogni uomo delle istituzioni che si rispetti, possiede una visione: “Questo tentativo di andare verso il centro – esordisce l’ex governatore – mi fa pensare a un’area che non definirei partitica, bensì uno spazio europeista, da contrapporre agli anti-europeisti di destra. Uno spazio moderato per difendere quei valori che furono di Alcide De Gasperi e Gualtiero Spinelli”.

I comizi di Salvini sono affollati. Sempre. Gli italiani fanno la fila per un selfie con lui. La voglia di un campo moderato è più della politica o dell’elettorato?

“E’ un’esigenza di entrambi. Della politica, perché un sistema democratico deve comprendere una sinistra, una destra e un centro; ed è una esigenza dell’elettore, perché se alle urne non trova un’area moderata centrista, non potendo votare né la destra né la sinistra, finirà con l’astenersi. Se non c’è la politica gli elettori non vanno a votare, ma se non ci sono gli elettori la politica non è più politica”.

Ha visto le conferenze stampa organizzate in riva al mare, l’inno di Mameli interpretato dalle cubiste. Secondo Lei, siamo di fronte a una crisi delle istituzioni?

“Io credo sia in crisi il sistema della rappresentanza. Oggi più che mai il sistema democratico del nostro Paese è incompleto. Leggendo gli ultimi risultati elettorali, ma anche i sondaggi, non esiste un centro moderato. Esiste una destra che definirei sovranista, una sinistra in fase di ricomposizione, e un Movimento 5 Stelle che non saprei collocare, ma che certamente non rappresenta l’anima moderata del Paese. Molti italiani non individuano un’area di valori cui poter affidare il loro voto e scelgono di rimanere a casa. Questo problema si riflette sulle istituzioni, che hanno perso la fiducia degli elettori. Il mio è un punto di vista da semplice cittadino. Non voglio fare la morale a nessuno e mi guardo bene dal giudicare, visto ciò che mi è accaduto”.

Da dove partono queste spinte centriste e, soprattutto, porteranno a qualcosa?

“Vedo fermenti nel Pd, da parte di chi potrebbe sganciarsi e riposizionarsi al centro. L’area renziana, per intenderci. Vedo il fermento di tutti i post democristiani, da Casini a Tabacci, da Giovanardi a Rotondi, da Cesa a Romano. E poi c’è Forza Italia, che dopo l’abbandono di Toti che è andato verso destra, sta guardando in una nuova direzione, con il progetto de “L’altra Italia”. Ripeto: è difficile che un’area così variegata possa diventare un partito, ma ci sono tutti gli elementi perché diventi uno spazio europeista. In questi giorni, osservando sui social le foto di chi organizza le conferenze al Papeete Beach e l’immagine di Aldo Moro, che accompagnava la figlia al mare con la giacca e un grande senso di compostezza, ho ripensato a quanto sia importante coltivare i valori fondanti di questa Italia, che sono anche quelli umani, della solidarietà e dell’accoglienza”.

Da medico volontario in Burundi, con quale stato d’animo assiste al dibattito italiano sul decreto sicurezza bis e sui porti chiusi?

“Io credo che la più grande disumanità del nostro tempo sia la mancanza di umanità. Lo dico da siciliano, di chi vive in questa terra che è sempre stata di grande ospitalità. La Sicilia è tutta un porto ed è complicato pensare la si possa chiudere per intero. L’argomento non può essere liquidato in poche battute, ma credo non possa risolversi erigendo barriere nei confronti di chi scappa, nella migliore delle ipotesi, dalla fame e dalla miseria. Non basta dire “aiutiamoli a casa loro”. Bisognerebbe fare qualcosa di concreto per dar loro una possibilità di rimanere a vivere nel loro Paese. Io sono in Burundi da qualche anno: crede che le persone abbiano tutta questa voglia di abbandonare la propria casa, i propri beni e la propria famiglia per andare a vivere altrove? Mi auguro che l’Italia e l’Europa riescano ad affrontare la questione con umanità e spirito propositivo”.

Tornando alla politica, presidente. Chi potrebbe essere il leader di questo spazio europeista e moderato che lei auspica?

“Il naturale comandante di questa nave è il direttore della Banca Centrale Europea Mario Draghi. Dato che il suo mandato alla Bce scade a breve, potrebbe continuare a difendere la sua idea di Europa. Capisco che richiederebbe un grande sacrificio, ma dovrebbe mettersi alla guida di questa formazione solo finché non saprà camminare sulle proprie gambe”.

E Berlusconi?

“Dentro quel centro ipotetico, perché possa diventare importante, devono convergere più cose. Certamente l’altra Italia di Silvio Berlusconi, certamente i post democristiani e la parte moderata del Pd. Se tutto questo diventa uno spazio, non può essere una parte di questo spazio ad assumere la leadership. Non Berlusconi, non Casini, non Renzi. Ci vuole una persona super partes che rappresenti un’idea forte di Europa, il cui messaggio sia tangibile. Penso che Draghi possa svolgere al meglio questo ruolo. Non è una sfiducia nei confronti di Berlusconi, che resta un leader molto amato”.

In Sicilia, durante e le dopo la campagna elettorale per le Europee, si sono molto inaspriti i toni fra Gianfranco Miccichè e Saverio Romano, che rappresentano due pilastri del centro moderato. Come si risolve il conflitto?

“Le rispondo con una frase che mi disse un vecchio leader democristiano, Nino Gullotti. Andai a trovarlo che ero segretario regionale dei Giovani Democristiani, stiamo parlando di 40 anni fa. Mi lamentai di alcune cose e lui rispose: “Giovane amico mio, ricordati che già in politica è difficile avere sentimenti, figuriamoci risentimenti”. Non ho mai dimenticato quelle parole. In campagna elettorale può succedere di tutto, e non solo in Forza Italia. Ma la politica va avanti e bisogna avere la capacità, la voglia e la responsabilità di superare tutto. Il progetto del costruire è sempre più importante di asti e rancori che non portano a niente”.

Crede che Renzi e la parte rottamatrice del Pd, che all’ultimo congresso hanno perso la maggioranza numerica nel partito, siano maturi per staccare il cordone ombelicale?

“Mi auguro che lo siano. Questo centro moderato, senza di loro, difficilmente avrebbe i numeri per essere un contenitore importante. C’è troppa differenza tra le due anime del Pd, credo non ci sia più nulla che le tenga insieme. Una separazione servirebbe a chi rimane, per attrarre la sinistra che al momento rimane fuori; e a Renzi, per diventare protagonista della crescita di un nuovo spazio in cui avrebbe un ruolo preminente”.

Musumeci, invece, gioca a scacchi. Ammette che a destra non c’è più spazio da occupare, poi insegue Salvini, infine è costretto a desistere e a ripiegare su Toti. Ci aiuta a capire le mosse del governatore?

“Ho detto quello che pensavo di Musumeci prima della campagna elettorale, quando bisognava scegliere i candidati, poi mi ero ripromesso di non dire più nulla. Ecco, adesso faccio un’eccezione. E dico che se ci fosse un po’ più di chiarezza in ciò che si vuole fare, sarebbe meglio per tutti. Soprattutto per gli elettori che in questo modo rischiano solo di confondersi. Tuttavia, ricordiamoci che Musumeci viene dalla destra e mi pare difficile che possa improvvisarsi democristiano”.

A che punto è il suo progetto in Burundi?

“Da qualche giorno è arrivato il nostro container con attrezzature sanitarie, con le sementi per seminare il grano in due diversi appezzamenti, con un impianto tessile donato da una famiglia di Mazzarino. Dal 30 settembre torneremo in Africa e cercheremo di far capire a quella gente come diventare padroni del proprio destino. Oltre all’ospedale che ho costruito grazie ai fondi di solidarietà internazionale quando ero presidente della Regione – un ospedale da 80 posti letto, che siamo riusciti a far funzionare e dove i medici italiani fanno la fila per darci una mano – adesso il governo ci ha chiesto di prendere in gestione un ospedale da 600 posti e noi abbiamo cominciato a farlo, mandando attrezzature e professionisti. E’ bello sapere di essere utili a tenere in vita le persone: con 100 euro un bambino del Burundi campa un anno intero. Lì mi sono preso la mia piccola rivincita: fare il medico, dato che nel mio Paese non me lo lasciano più fare (l’ordine dei Medici ha cancellato il suo nome dall’albo dopo la condanna per favoreggiamento)”.

Totò Cuffaro oggi è un uomo felice?

“Da grande egoista qual ero, pensavo di andare in Burundi a portare speranza. Invece non avevo capito niente, come spesso mi capita (sorride). Sono i bambini, le loro mamme e guardare i loro occhi a dare speranza a me. Sorridono anche se non hanno nulla. Mi fanno capire quale fortuna ho avuto a nascere in una terra piena di possibilità. Ogni giorno, in Africa, è una lezione di vita. Che mi sprona a fare qualcosa in più per aiutarli”.