Polibio, uno storico greco morto quasi 2140 anni fa, scriveva qualcosa, nelle sue Storie, che potrebbe esserci utile per una riflessione attuale: “Finché sopravvivono cittadini che hanno sperimentato la tracotanza e la violenza […], essi stimano più di ogni altra cosa l’uguaglianza di diritti e la libertà di parola; ma quando subentrano al potere dei giovani e la democrazia viene trasmessa ai figli dei figli di questi, non tenendo più in gran conto, a causa dell’abitudine, l’uguaglianza e la libertà di parola, cercano di prevalere sulla maggioranza […]. Desiderosi dunque di preminenza, non potendola ottenere con i propri meriti e le proprie virtù, [essi] dilapidano le loro sostanze per accattivarsi la moltitudine, allettandola in tutti i modi. Quando sono riusciti, con la loro stolta avidità di potere, a rendere il popolo corrotto e avido di doni, la democrazia viene abolita e si trasforma in violenta demagogia […]”.

La demagogia è la potenza di quella straordinaria illusione che è “l’uno uguale uno”, per esempio; una illusione nefasta che infiamma gli animi e soprattutto le viscere di chi ascolta con la pancia e pensa così di poter avere non solo gli stessi diritti (e doveri) di ogni altro (che è evidentemente vero), ma anche le stesse competenze, per cui può permettersi di dissertare su qualsiasi tema, sostituendosi a chi è invece esperto e preparato.

A chi ascolta con la pancia e dunque il senso delle parole arriva attraverso un inevitabile ottundimento; a chi ascolta stimolato dalle proprie privazioni, dalla “fame” dei propri bisogni negati, il sospetto di essere buggerato, truffato, strumentalizzato, usato arriva diretto e inequivocabile proprio grazie alle parole dei manipolatori – e non importa che costoro sostengano tutto e subito dopo il contrario di tutto, anzi, in qualche modo questo aumenta il loro potere su intere sacche di popolazione che, pungolate a dovere, reagiscono come mandrie inferocite, sollevando una quantità di polvere che rende sempre più difficile la visibilità e con essa ogni razionalità, calpestata nella loro corsa impazzita.

È così che si inneggia alla libertà rifiutando vaccino e green pass, al punto da indurre il Presidente Mattarella a invitare al “senso di responsabilità collettiva” perché “la libertà è condizione irrinunziabile, ma chi limita oggi la nostra libertà è il virus e non gli strumenti e le regole per sconfiggerlo”. E non bastasse questo, si sconfina facilmente nel territorio dell’irrazionale sfociando spesso nella paranoia, nel delirio di persecuzione, nell’invertire (o pervertire) le cause di ogni male (proprio come intuisce il Presidente) attribuendole agli “altri” senza potere d’altra parte definire bene chi siano, nell’intensa suggestione della lucidità delle tesi, per questo motivo particolarmente contagiose, infettando al pari e più del virus perché in grado di dilagare istantaneamente.

Sappiamo bene come l’olocausto sia nato da una condizione paranoide estesa a una larga parte della società; sappiamo di come i totalitarismi nascano facilmente da questi assetti di “peste psichica”; noi stessi ci ritroviamo spesso quasi borderline, pronti a inveire, per esempio, contro coloro che arrivano da terre lontane quasi fossero veri e propri invasori da cui difendersi. Abbiamo visto quanto possa essere pericoloso il “delirio”, che se etimologicamente significa l’”uscire dal solco”, non per questo dev’essere scambiato per una pulsione creativa sempre e comunque.

Stiamo vivendo un’emergenza, una pandemia non soltanto dal punto di vista sanitario ma anche sociale: per questo bisogna cercare di attivare e coltivare il senso critico, quella discriminazione che può farci riconoscere nelle strampalate concioni di Salvini e Meloni il tentativo di appropriarsi del potere attraverso la leva del consenso popolare e in gran parte attraverso i social. Più difficile distinguere, almeno all’inizio, i sintomi del Covid da quelli dell’influenza, così come il modo di accattivarsi i favori popolari da parte delle destre o da parte degli “influencer” di turno.

L’influenza, ricordiamocelo, è etimologicamente qualcosa che ci scorre dentro, si insinua dentro di noi, ci condiziona: spesso le radici delle parole svelano cose nascoste ma palesi…