E se Totò non avesse affatto sbagliato? Se la Sua non fosse una gaffe, ma una dichiarazione, o, come si diceva negli anni 70 “una presa di coscienza”? In fondo, come si dice, in vino veritas. Si perché quell’I am a drink, no, non può essere un errore; nessuno che abbia avuto una vita politica così intensa, nessuno di una statura e cultura politica come la Sua, può errare proprio su uno dei Martiri più straordinari e amati del novecento, Martin Luther King, il Gandhi nero, la cui morte fu pianta da Bob Kennedy in uno dei discorsi più celebri e difficili mai fatti da un politico, bianco, in un giorno di lutto che spaccò in due una Nazione intera. Forse, Totò, in un attimo di profonda umiltà politica e umana, del tutto comprensibile, ha capito che nessuno può citare un uomo come Martin Luther King senza sentirsi addosso tutto il peso di un’inevitabile inadeguatezza. Forse, in quell’attimo, Totò ha capito, ha sentito quanto differente fosse la coerenza di Rosa Parks e la sua lotta per un posto a sedere in un bus da quella no euro, no vax per un posto a sedere a Bruxelles di Francesca Donato. Forse ha sentito, capito fino in fondo come la coerenza dei principi, della lotta antirazzista spinta fino al martirio, fosse diversa dal baciare tutti e sempre. Forse ha compreso, come solo i grandi sanno fare, la differenza tra l’avere per amico Robert Kennedy piuttosto che Roberto Formigoni. Il nuovo leader della DC, che non ha più lo scudo, ma un quadrato crociato, immagino solo casualmente privo di “libertas”, ha compiuto uno straordinario atto di umiltà politica e ha capito che tutta questa storia della nuova DC, altro non è che una ubriacatura collettiva. Let’s have a drink, Totò, che è meglio.