Nella Capitale si è ridotto a personaggio d’avanspettacolo: scalcia, sgomita, bluffa e rimedia persino qualche figuraccia per far parlare di sé. Ma in Sicilia no, è diverso. E Matteo Salvini si candida al ruolo di grande protagonista per almeno i prossimi due mesi. Cioè fino alle elezioni Amministrative, che mettono in palio poltrone succulente: in primis, quella da sindaco di Catania. Ed è proprio nel capoluogo etneo che il Ministro delle Infrastrutture vuole raccogliere il frutto di una semina decisa e dispendiosa: “Ho grande stima per Valeria Sudano, la migliore candidata per guidare una città straordinaria come Catania”, ha detto ieri Salvini, un “Comune che solo pochi anni fa la Lega al governo aiutò con cifre importanti per evitare dissesto, caos e licenziamenti”. E qui veniamo dritti al punto: Salvini sa bene di non poter rivendicare Palazzo degli Elefanti solo per aver concesso un pacchetto di aiuti economici ai comuni metropolitani in dissesto (fra cui Catania) nel lontano 2019; ma la sua strategia è ad ampio raggio, e rivela quella voglia smodata di riprendersi le copertine dopo anni di calo e un’esperienza, con Prima l’Italia, ben al di sotto delle aspettative.

Era il 2019 quando da Ministro dell’Interno del governo Conte-1, il tragico esperimento gialloverde, il ‘Capitano’ toccò con mano le difficoltà del capoluogo etneo, sprofondato in una situazione di dissesto. E, attraverso l’allora reggente del partito in Sicilia, il senatore lombardo Stefano Candiani, si fece promotore di un’iniziativa accolta dal parlamento: ossia un piano d’aiuti da 20 milioni per il 2019, e da 35 per gli anni a seguire (fino al 2033) per i Comuni metropolitani con l’acqua alla gola. Ne avrebbe parlato qualche mese dopo, nell’estate 2019, durante una visita in Municipio all’allora sindaco Salvo Pogliese: “All’inizio quel decreto era solo salva-Raggi. Ma noi da bastian contrari abbiamo detto che non ci sono sindaci o cittadini di serie A e serie B, o tutti o nessuno, c’erano anche Catania e Alessandria in difficoltà. Abbiamo mantenuto la parola, ora parte un percorso virtuoso”. “Abbiamo salvato il Comune di Catania, senza essere degli eroi – proseguiva Salvini -. Ora gli autobus a Catania funzionano e i dipendenti sono al lavoro”.

Pogliese gliene diede atto e tuttora, a chi glielo domanda, rimarca che i meriti sono tutti di Matteo, Candiani e Laura Castelli, ex viceministro all’Economia diventata da poco portavoce nazionale di Sud chiama Nord, il movimento di Cateno De Luca. Salvini si fa forte della sua posizione, che esce rinvigorita anche dalle ultime vicende relative al Ponte sullo Stretto. L’approvazione del decreto in Consiglio dei Ministri, sotto la sua spinta decisiva, è un altro elemento che depone a favore del segretario leghista: “Giornata storica non solo per la Sicilia e la Calabria, ma per tutta l’Italia – ha detto il vicepremier un paio di pomeriggi fa -. Dopo 50 anni di chiacchiere questo Consiglio dei Ministri approva il ponte che unisce la Sicilia al resto d’Italia e all’Europa”. Il Capitano è uno poco diplomatico. Si prende i meriti pure quando non gli spettano, figurarsi adesso che è riuscito a riesumare dalle secche burocratiche la Società Stretto di Messina e che il progetto, a meno di ulteriori intoppi, dovrebbe diventare esecutivo entro un anno. A questo si aggiunga l’altro investimento da 3,4 miliardi (con un copioso intervento della Bei) per rimettere a nuovo la ferrovia Palermo-Catania.

Per il capo della Lega è un momento di grande esaltazione. E non è un caso che il mirino sia puntato dritto sulla Sicilia: è qui che si vota a brevissimo ed è qui che Fratelli d’Italia, dopo aver messo le mani sulla Regione, vorrebbe ulteriormente annettere altre terre. Salvini non è intenzionato a fare da comparsa. Specie all’indomani della riorganizzazione in atto nel suo partito, affidato alla freschezza di Annalisa Tardino, eurodeputata di Licata, ma soprattutto al potere e al carisma di Luca Sammartino. Mr. Preferenze, con 20 mila voti alle ultime elezioni; vicegovernatore in carica, oltre che assessore all’Agricoltura; ben collegato al mondo della sanità privata (l’Humanitas di Catania è stata a lungo diretta dalla madre) e anche a Totò Cuffaro, con il quale la stima è reciproca. La corrente del nuovo enfant prodige della politica siciliana, che aveva già messo a soqquadro gli equilibri dentro il Pd e Italia Viva, lentamente ha scalato la Lega. Fino a travolgere i salviniani della prima ora, sacrificati sull’altare del più forte (non è un mistero che con l’ex segretario Minardo i rapporti fossero freddini).

Si legge Tardino, ma si scrive soprattutto Sammartino. Il vicepresidente ha partecipato (assieme alla neo segretaria) al primo tavolo del centrodestra convocato dal neo commissario di Forza Italia, Marcello Caruso; ed è in parte in causa nella scelta dei candidati a sindaco, dal momento che Valeria Sudano, eletta alla Camera di recente, è anche la sua compagna di vita. A conferma delle intenzioni leghiste, che non si riducono meramente a un giochino al rialzo, in città sono spuntati i primi manifesti 6×3 della deputata. Il tandem diventa per Salvini motivo d’orgoglio e leva di potere, ma anche necessità di rappresentanza: per i voti che portano, per il prestigio che vantano e hanno sempre vantato all’interno di una provincia col mito della destra (da Catania arriva la crème dei patrioti, sebbene con sfumature diverse: da Musumeci a Razza a Pogliese a Stancanelli). La sponda offerta dal Ministro sull’affaire Ponte sono punti in più in vista delle scelte della coalizione. Con questa accelerazione in CdM, il leghista potrà fare presa su Schifani, fin qui schiacciato sulla Meloni, e indurlo ad accettare un compromesso su Catania. D’altronde il presidente della Regione, costretto a giocare con più mazzi, ha dichiarato che il suo unico interesse è preservare l’unità della coalizione, e l’unità rischia di andare in frantumi se a scegliere saranno sempre i soliti: cioè quelli di Fratelli d’Italia.

Salvini ha raggiunto, almeno in Sicilia, la fase della maturità politica. In cui bisogna scegliere: o con me o contro di me. In un intreccio fra calcolo politico e governo del territorio che non sempre risulta consequenziale. Volete mettere un sindaco leghista a Catania? Un giorno sarebbe stato impensabile, oggi no. All’epoca delle coalizioni fluide, del finto civismo, degli interessi (più che leciti) da amministrare, è il momento di piazzare la bandierina. Alle Regionali il leader della Lega, dopo aver assistito senza muovere un dito (anzi) alla caduta di Musumeci, ha fatto un passo di lato, con Minardo, “per il bene della coalizione”. Farlo anche stavolta, però, sarebbe un segnale di resa. Ma la vera questione è un’altra: riuscirà Schifani a dissuaderlo? Ed eventualmente, a che prezzo?

Lombardo stoppa la fuga della Sudano

Nel corso del congresso Mpa a Catania, quello del gran ritorno di Raffaele Lombardo, ecco le prime picconate dell’ex governatore, ormai libero da qualsiasi implicazione giudiziaria. Secondo il leader del Mpa “quella di Valeria Sudano non è una candidatura politica”, ma una scelta che ha “bypassato il tavolo programmatico” con un “gruppo umano che ha occupato un partito politico” passato in “Udc, Articolo 4, Partito democratico e Italia viva” e che ha “sfiorato Forza Italia prima dell’approvazione alla Lega”. Parole al veleno che giungono dritte al punto. La candidatura della compagna di Sammartino “è una cosa che non mi spiego che è fuori dalla logica politica. Quest’ultima, la logica politica, vuole che si concordi tra partiti”. In prima fila, ad applaudirlo, anche i “compagni” di Fratelli d’Italia: da Ruggero Razza a Manlio Messina.