Nessun ammonimento, o richiesta di chiarimenti, nei confronti di uno dei pilastri della sua maggioranza: Totò Cuffaro. L’unico richiamo del presidente Schifani è rivolto all’Asp di Siracusa: “La Presidenza della Regione segue con la massima attenzione e con il massimo rigore gli sviluppi dell’inchiesta della Procura di Palermo con riferimento all’Asp di Siracusa, riservandosi di adottare i provvedimenti di competenza all’esito della pronuncia del Gip”. Il manager dell’Azienda aretusea è Alessandro Caltagirone, già visto a Caltanissetta, nominato dalla giunta. È uno dei diciotto indagati, anche se i pezzi grossi sono altri. I politici.
E non sono due politici a caso. Saverio Romano, che continua a essere un sostenitore di questa maggioranza, ha un solo deputato all’Assemblea regionale: Marianna Caronia. E zero assessori. L’altro, Totò Cuffaro, non esprime soltanto un gruppo parlamentare nutrito, che attende di conoscere la decisione di Luisa Lantieri per salire a quota otto. Ma è letteralmente uno dei due sovrastanti grazie ai quali Renato Schifani ha potuto sopravvivere alle ultime “coltellate” inflittegli da una maggioranza sempre più litigiosa, che osserva con circospezione il valzer delle nomine, prima di potersi pronunciare – quasi sempre per vendetta – col voto segreto.
Se Schifani è sopravvissuto alla Caporetto di qualche settimana fa, quando FdI e pezzi di Forza Italia gli hanno impallinato un terzo della manovra-quater, è grazie alla lealtà di Cuffaro, che ha richiamato la sua deputazione – compreso il capogruppo Carmelo Pace, anch’egli indagato – fuori dall’aula per assecondare l’ira del presidente. Il giorno dopo, in una nota consegnata alla stampa, parlerà di “grettezza sociale prima che politica”.
Totò, assieme al suo partito, ha ottenuto ampio riconoscimento nella Legge di Stabilità appena approvata in giunta, e fra pochi giorni all’esame di Sala d’Ercole, grazie a una quantità enorme di milioni destinati a due assessorati di riferimento della Dc: quello delle Autonomie locali, gestito da Andrea Messina; e quello del Lavoro e della Famiglia, guidato della discussa Nuccia Albano (per aver accettato inizialmente l’incarico di consulente medico legale del medico di Messina Denaro). Cuffaro è anche l’unico che – nonostante le porte in faccia di Tajani per l’affiliazione alle ultime Europee – ha assistito Schifani da vero amico, contribuendo comunque al successo della lista di FI e “ritirando” il manager di Villa Sofia dopo un caso di malasanità. Strano scherzo del destino: anche Roberto Colletti, l’ex manager appunto, è indagato dalla Procura di Palermo.
La richiesta d’arresto per Totò Cuffaro è un duro colpo anche per il presidente: semmai il Gip dovesse acconsentire alla misura cautelare per il vertice della Dc, la sciagura sarà certificata. Da poche settimane Cuffaro aveva stretto un accordo pre-elettorale con la Lega di Salvini, ma soprattutto di Luca Sammartino. Cioè l’altro dei due sovrastanti. Il golden boy catanese è rientrato in giunta dopo la sospensione di un anno dai pubblici uffici, anche se il rinvio a giudizio nel processo Pandora, in cui è indagato per corruzione, non può lasciarlo sereno fino in fondo. Né può bastare a Schifani per coltivare sogni di ricandidatura. Con Salvini i rapporti sono tesi sin dalla nomina di Annalisa Tardino all’Autorità Portuale di Palermo (c’è ancora una sentenza del Tar in sospeso) e senza la costola cuffariana – o anche col suo depotenziamento in termini di rappresentanza e credibilità – la strada per Orléans potrebbe complicarsi.
Il governo Schifani è stato percosso da una serie di vicende, talvolta scandali veri e propri, che ne hanno minato le fondamenta e che oggi portano gli avversari politici, con toni diversi, a chiedere di “staccare la spina” (Movimento 5 Stelle) o a presentare una mozione di sfiducia (Ismaele La Vardera). La congiuntura astrale è divenuta nefasta la scorsa estate, con l’iscrizione di Gaetano Galvagno ed Elvira Amata, rispettivamente presidente dell’Ars e assessore regionale al Turismo, nel registro degli indagati della solita Procura di Palermo. Al primo, oltre alla corruzione impropria, vengono contestati i reati di peculato, falso e truffa. Ovviamente, anche in quel caso, il presidente della Regione ha preferito non stravolgere gli assetti della giunta: l’addio ad Amata avrebbe certamente complicato i rapporti coi padrini romani di FdI, alcuni dei quali molto sensibili alle amicizie e alle parole date.
L’unico a uscire dagli schemi, negli ultimi giorni, è Manlio Messina. L’uomo che, nonostante le vicende che si snodano da Cannes a SeeSicily, nessuna procura ha mai indagato. Il Balilla ha contestato fortemente la gestione di Schifani, promettendo (o minacciando?) di candidarsi contro di lui se proverà a correre per il bis. FdI, ad ogni modo, non è l’alleato di governo più allineato con il presidente. Si è messo di traverso sulla nomina di Iacolino alla Pianificazione strategica, ha fatto saltare due volte il banco all’Ars (prima “ingaggiando” i franchi tiratori, poi restando in aula contro la richiesta dello stesso governatore), e non promette nulla di buono in vista dei prossimi appuntamenti elettorali.
Così come il Movimento per l’Autonomia di Lombardo, di fatto federato con Forza Italia a livello nazionale, ma sempre all’erta su determinate questioni: sanità, fonti rinnovabili, eccetera. Peraltro nemmeno gli uomini di Lombardo hanno avuto grande sorte in questa legislatura: il parlamentare Giuseppe Castiglione è stato arrestato (poi tradotto ai domiciliari) nell’ambito di un’inchiesta su Cosa Nostra etnea condotta dai carabinieri del Ros (è stato sospeso dall’Ars per effetto della “Legge Severino”); Roberto Di Mauro, un minuto dopo essersi dimesso da assessore all’Energia, è stato iscritto nel registro degli indagati per la vicenda che riguarda alcuni appalti truccati per la realizzazione della nuova rete idrica di Agrigento.
Ovunque ci si volti, non si può certo dire che l’azione di questa classe dirigente sia orientata alla cautela e ispirata dall’etica. Molti dei comportamenti non avranno rilievo penale (per fortuna degli indagati o dei presunti tali), ma parlano – specie se i reati vengono contestati nell’espletamento della propria funzione – di qualcosa di più profondo: esiste, in Sicilia, un senso d’impunità diffuso e molto marcato. Che impedisce alla politica di muoversi prima della magistratura. L’unica reazione è un tiepido smarrimento che somiglia sempre più spesso all’indifferenza. Tanto c’è qualcun altro che, eventualmente, ci penserà. Già, ma al governo chi pensa?


