L’autostrada Siracusa-Gela si è bloccata a Modica. E, a giudicare dai segnali, resterà lì ancora a lungo. Dei 132 chilometri previsti, in oltre quarant’anni ne sono stati realizzati appena 60. Una media ridicola: 1,4 chilometri all’anno. Il resto è un labirinto di ritardi, fondi stanziati e poi definanziati, promesse evaporate e progetti ammuffiti nei cassetti.
È la storia senza fine del lotto Modica-Scicli, l’unico tratto immediatamente cantierabile dell’intera autostrada, con progetto esecutivo approvato. Nel 2022 il Cipess aveva stanziato 350 milioni di euro. Ma a fine 2023 – con la scusa che bisognava fare il Ponte sullo Stretto e sforbiciare ogni risorsa utile – quei fondi sono stati revocati per mancato utilizzo. Oggi, a causa dell’aumento dei costi delle materie prime e dell’energia, di milioni ne servirebbero almeno 640. Ma i soldi non si vedono, e il Consorzio Autostrade Siciliane – responsabile della gestione dell’arteria – è fermo al palo.
Il direttore generale del Cas Calogero Fazio, lo stesso che Schifani aveva “minacciato” di revocare dopo le dichiarazioni poco lusinghiere sul Ponte, intervistato da Repubblica ha ammesso che «il progetto va aggiornato con i nuovi prezziari Anas. Vanno rivisti i nulla osta, rivalutate le interferenze e aggiornati i vincoli di esproprio». In pratica: si riparte da capo. Come se gli ultimi due anni non fossero mai esistiti. E dire che le autorizzazioni e i vincoli erano già stati perfezionati nel 2022.
Per la Cgil di Ragusa, si tratta di un vero e proprio “scippo” ai danni del territorio. Il segretario Giuseppe Roccuzzo ha annunciato per lunedì 22 luglio un sit-in di protesta allo svincolo di Modica: «Il governo Schifani ha perso un’occasione storica. È gravissimo che si siano lasciati scadere 350 milioni destinati a un’opera strategica per la mobilità nel sud-est e per lo sviluppo dell’aeroporto di Comiso. Uno scalo che, senza collegamenti adeguati, non raggiungerà mai il milione di passeggeri».
Eppure, sulla Siracusa-Gela è calato il silenzio. La politica regionale ha altro di cui occuparsi: si accapiglia sull’A19 Palermo-Catania, accusa l’Anas di lentezza, fa saltare teste – come quelle dei due subcommissari sostituiti d’imperio da Palazzo d’Orléans, con Nicola Montesano e Simona Vicari, esperta di fiducia del presidente Schifani. Ma nessuno, nemmeno tra i più loquaci populisti, osa nominare il Cas, ente regionale che gestisce oltre 300 chilometri di rete autostradale tra la A18 Catania-Messina, la A20 Messina-Palermo e la stessa Siracusa-Gela.
La rete gestita dal Consorzio è in condizioni imbarazzanti: restringimenti continui, pavimentazioni dissestate, segnaletica scolorita. Il tutto in barba agli obblighi di manutenzione. E nessuno che si azzardi a chiedere conto. Nemmeno Cateno De Luca, recentemente rimasto imbottigliato per ore prima dello svincolo di Tremestieri per un incidente (s’è scattato una foto sul cofano anteriore dell’auto), ha trovato il coraggio di attaccare il Cas. Forse perché lì, tra i vertici e gli uffici, si annidano più equilibri di coalizione che tecnici con la valigia pronta.
Solo Anthony Barbagallo, segretario regionale del Pd, ha protestato di fronte alle code che da qualche giorno affliggono gli automobilisti sulla tangenziale di Catania: “E precisamente i caselli di San Gregorio, sulla A-18 in direzione di Messina. E’ stato deciso, in virtù di lavori programmati in precedenza, di asfaltare la corsia dedicata ai Telepass. Ma a nessuno viene in testa, in un periodo così caldo, non solo dal punto di vista meteo, di programmare seriamente questi lavori, eseguendoli quindi in notturna, quando l’afflusso di traffico è certamente minore?”. “Anche al Cas – riprende Barbagallo – l’improvvisazione la fa da padrone. E, come fa Schifani, scatta lo scaricabarile del dirigente che, proprio come Schifani, si sveglia dal torpore quando il danno è fatto. Il tutto nel silenzio complice dello stesso Schifani, dell’assessore regionale ai Trasporti Aricò e perfino del sindaco metropolitano, Enrico Trantino. Siamo di fronte – conclude – al festival dell’inadeguatezza e a pagarne le conseguenze, ancora una volta sono i malcapitati rimasti intrappolati sotto il sole cocente”.
Nel frattempo, l’assessore regionale alle Infrastrutture Alessandro Aricò, che a febbraio 2024 (relativamente alla Siracusa-Gela) dichiarava entusiasta che «l’opera costa 499 milioni e il bando sarà pubblicato entro l’estate», ha preferito eclissarsi. Da allora sono trascorsi oltre diciotto mesi. Ma del bando, nemmeno l’ombra. Aricò – stretto tra le lealtà di partito e l’impossibilità di smentire il definanziamento romano – si guarda bene dal commentare. Difendere l’indifendibile è un esercizio talvolta impossibile.
E così, mentre il Cas cincischia, in Sicilia c’è un’altra opera che invece procede: la Ragusa-Catania, vera “competitor” del lotto Modica-Scicli (ai ragusani bisognava dare un collegamento col resto dell’Isola, non due…). Qui i cantieri sono aperti, il cronoprogramma è in corso, le imprese – a partire dal colosso Webuild – lavorano. L’Anas, soggetto attuatore, coordina. E si costruisce già il Viadotto Vallone delle Coste, infrastruttura in cemento armato destinata a unire le province di Ragusa, Catania e Siracusa. Una rivoluzione logistica supportata da fondi europei e strategia industriale. Altro che carte bollate e rimpalli di responsabilità.
Il paradosso è tutto qui: da un lato un consorzio regionale, piegato su sé stesso, incapace di assolvere le sue funzioni. Dall’altro un sistema statale che, pur con i suoi difetti, almeno i cantieri li apre. Intanto il governo Schifani (“costretto” da Salvini e Fitto, ai tempi ministro della Coesione territoriale) ha dirottato sul Ponte sullo Stretto – che non ha né progetto esecutivo né tempi certi – ben 800 milioni di euro di cofinanziamento, sottraendo risorse a opere pronte e concrete come la Siracusa-Gela.
Il completamento del lotto Modica-Scicli avrebbe potuto rappresentare una svolta logistica, economica, perfino simbolica. E invece è diventato l’ennesimo monumento all’inconcludenza. Il Cas continua a galleggiare tra inerzia e impunità, senza che nessuno – né in giunta né all’Ars – trovi il coraggio di dire basta. E intanto la Sicilia produttiva, quella che esporta, che accoglie, che cerca collegamenti con il mondo, resta a passo d’uomo. Quando va bene.