Un tavolo permanente sui temi dell’Economia: lo hanno richiesto a gran voce le sigle sindacali, Cgil, Cisl e Uil, che per la prima volta nell’epoca Covid, venerdì mattina, si sono ritrovate alla Favorita di Palermo per affrontare i temi del lavoro e della ripartenza. Con le mascherine sulla bocca e alcuni dati allarmanti sullo sfondo: le ultime rilevazioni dell’Istat, infatti, hanno rivelato che in Sicilia, nel secondo trimestre del 2020, sono andati in fumo 76 mila posti di lavoro. Colpa della pandemia e delle difese immunitarie che in questa regione scarseggiano. A Conte hanno chiesto sgravi coraggiosi sul lavoro stabile, la proroga del blocco dei licenziamenti e il finanziamento degli ammortizzatori sociali.

Ma al Sud e in Sicilia, dove i ritardi strutturali sono appesantiti dalla più grande crisi dal secondo dopoguerra, il punto è anche un altro: l’assenza di concertazione. “Noi della Cisl – ma mi risulta che lo abbiano fatto anche gli altri – abbiamo presentato alla Regione delle proposte dettagliate, con un piano inviato due mesi fa. Stiamo ancora aspettando che ci chiamino per un confronto”. Parola di Sebastiano Cappuccio, segretario regionale della Confederazione Italiana Sindacati Lavoratori, che assieme ad Alfio Mannino (Cgil) e Claudio Barone (Uil), era in piazza per rivendicare il diritto al confronto: “Credo che ci spetti. Il sindacato in Sicilia rappresenta quasi 900 mila lavoratori sugli 1,3 milioni occupati. Non sono in tanti a poter vantare questi numeri”. La ripartenza è segnata dai numeri. E quasi tutti preoccupano. Al netto dei posti già “bruciati” per gli effetti devastanti del Covid, ci sarebbero ancora 150 mila posti a rischio. La Sicilia – ormai da trent’anni – è ultima nella classifica nazionale del reddito pro-capite. E come se non bastasse la quantità degli “inoccupati”, cioè di quelli che un lavoro hanno smesso di cercarlo, ha superato la soglia (di per sé inaccettabile) del 50%. Forse perché qualcuno preferisce accontentarsi dei sussidi.

Segretario, che impatto ha avuto sulla Sicilia il reddito di cittadinanza?

“Ha avuto un impatto, nel senso che ha cercato di tamponare la povertà e il disagio sociale. Ma non basta. Non è questo che serve alla Sicilia. Qui i rischi per lavoratori e imprese sono quattro volte superiori che nel resto d’Italia. Abbiamo avuto – per fortuna – meno morti che in altre regioni d’Italia, ma da noi il Coronavirus ha inciso non solo sui dati occupazionali, ma sull’allargamento delle povertà, delle disabilità, dei disagi e delle questioni socio-sanitarie. Rispetto a questo, serve un piano complessivo di rilancio. Agire attraverso spot, dando risposte a uno piuttosto che a un altro, non genera una ripresa sostanziale. Se così fosse, starebbero tutti bene. Ma non mi pare…”.

Quanto ha influito la pandemia sulla perdita dei posti di lavoro?

“E’ stata decisiva. Ha fortemente condizionato gli aspetti di tenuta occupazionale. Non quelli legati alla crescita, perché di crescita ancora non se ne parla… Soprattutto in considerazione di ciò che abbiamo ereditato e per il difficile periodo economico-sociale degli ultimi anni. Quelli che riguardano il lavoro, però sono dati gravi e allarmanti, anche perché la Sicilia è già una delle regioni col più forte tasso di disoccupazione. Va fermata l’emorragia di giovani, ben 25 mila, che ogni anno fanno la valigia, mettono sottobraccio i loro libri e vanno via. E’ necessaria una forte spinta in termini di ripresa e di sviluppo, che abbia il tema del lavoro al centro”.

Cosa può fare la Regione siciliana?

“Dovrebbe confrontarsi e valutare le nostre proposte. Registriamo, purtroppo, che non lo fa. Noi riteniamo che oggi, in Sicilia, ci sia bisogno di responsabilità, coesione e di un forte patto fra istituzioni, imprese, sindacato e associazioni. Se non si fa questo, francamente, si rischia di trasformare tutto in uno spot. Con la conseguenza che la Sicilia, anziché tornare a crescere, si limiti a galleggiare”.

Eppure il presidente Musumeci ha presentato un piano Covid da 278 milioni – le prime risorse disponibili della Finanziaria – di cui una parte consistente (178) andranno a lavoratori e imprese. Ritiene anche questo uno spot?

“In considerazione del momento che stiamo attraversando, di quello che la Finanziaria regionale non affronta e della quantità di risorse che l’Unione Europea sta procurando all’Italia, sono due i temi cruciali: il primo, trattato l’altro giorno a Palermo, riguarda il confronto col governo nazionale; il secondo, è capire dal governo regionale qual è il progetto di rilancio della Sicilia. Ma servono un piano e una visione complessivi, non fondati sui singoli bisogni”.

Ci elenchi i punti cardine della sua ricetta.

“Al primo punto c’è il lavoro: occorre investire sullo sviluppo. E poi riprendere a trecentosessanta gradi con le infrastrutture. Senza dimenticare i temi della scuola, dell’università, della ricerca e dell’innovazione. Si spreca fiato sui piani di digitalizzazione e di allargamento della banda: ma finora, al netto delle discussioni, non abbiamo visto nulla”.

Cos’altro è venuto fuori dall’elenco delle “buone intenzioni” di Palermo?

“E’ urgente un’accelerazione che dia rapidamente corpo alle Zone economiche speciali, sostenendo anche l’economia turistico-culturale e il sistema dei servizi. Si può pensare anche a Zes specializzate per i distretti turistico-culturali. Serve più attenzione sui temi della coesione sociale, della non-autosufficienza, della povertà. E, grazie anche alla nuova sensibilità consolidatasi in Europa, una fiscalità compensativa capace di attrarre dall’esterno, nell’Isola, nuovi investimenti”.

Avete comunicato ufficialmente le vostre idee al governo Musumeci?

“La Cisl lo ha fatto due mesi fa, con proposte molto dettagliate. Non ci hanno ancora richiamato. Venerdì alla Favorita c’è stata una mobilitazione nella quale abbiamo chiesto, con grande senso di responsabilità e partecipazione, di confrontarci”.

La ripresa passa anche dalla sburocratizzazione delle procedure?

“Assolutamente sì. La Regione anziché discutere di chi fa il proprio dovere e chi no – fra l’altro è strano: dovrebbe già saperlo, essendo il datore di lavoro – si presenti con un grande piano di sburocratizzazione. Siamo pronti ad ascoltarli e a dare il nostro contributo”.

Il Recovery Fund è l’ultimo treno anche per la Sicilia?

“Si tratta di importanti quantità di somme che servono a rilanciare, complessivamente, le condizioni del Paese. La cosa che trovo più interessante è capire il “come” verranno spese. Gli investimenti dovranno rideterminare l’assetto economico-sociale che il Covid ha messo in crisi. Fra l’altro l’Europa ha bloccato il Fiscal Compact: questo vuol dire che avremo possibilità di spesa, senza che vada a incidere sul debito complessivo. Se non ci muoviamo adesso, quando?”