Da circa 40 anni la Sicilia attende una riforma dell’urbanistica, perché molti comuni dell’Isola sono senza un piano regolatore. Il governo Musumeci l’aveva annunciata in campagna elettorale, l’assessore Toto Cordaro aveva ribadito la sua importanza, ma a due anni dall’inizio della legislatura il disegno di legge si è perso nei rivoli delle commissioni dell’Ars. Dove ci sono volute trenta riunioni, e diciotto mesi di gestazione, per dar vita (in commissione Ambiente) a una riforma sui rifiuti che il parlamento osteggia. E ha già impallinato (all’articolo 1) col supporto dei “franchi tiratori” della maggioranza.

Il quadro che viene fuori dai palazzi della Regione è impietoso. Non c’è una sola riforma che abbia scaldato il cuore dei siciliani. Musumeci non ha alcuna voglia di farli sognare, parole sue, ma un esecutivo non può ridursi – in una terra martoriata come la Sicilia – al “compitino”. Le uniche riforme, di cui andrebbe verificata la piena applicazione, sono quelle sulla pesca, sul diritto allo studio e sui marina resort. Non si vedono quella sul turismo (c’è una bozza del Pd), sui forestali e sui centri per l’impiego, per i quali – dopo l’arrivo di 400 navigator – è pronta una nuova infornata di assunzioni senza riqualificare il personale già presente. E’ buio pesto anche sulla riforma elettorale, che da qui ai prossimi tre anni dovrebbe garantire una maggioranza certa in parlamento a chi vince le elezioni (in questo caso c’è una proposta del Movimento 5 Stelle). Cosa che non è accaduta all’ultimo giro, e i risultati si vedono tutti.

E mentre alla Sicilia servirebbe tutto questo, e molto altro, il governo si arrabatta come può. Inaugura fiere (l’ultima, sabato scorso, a Vittoria), organizza manifestazioni equine, rivaluta borghi fascisti. Spande e spende senza che la Corte dei Conti abbia ancora emesso il giudizio di parifica sul Bilancio consuntivo 2018, e dopo aver bloccato le leggi di spesa al Parlamento siciliano. Azzerando di fatto la sua operatività. L’ultima trovata di Musumeci, che ha firmato ieri mattina un accordo di programma con il Ministro dell’Ambiente Sergio Costa al Palaregione di Catania (e dove, sennò), è un piano sulla qualità dell’aria. Salutato con entusiasmo anche dai grillini. In palio ci sono quattro milioni di euro ­-  ma paga lo Stato – per favorire delle iniziative volte al contrasto del traffico urbano e delle emissioni nocive da parte dei poli industriali. Una manovra resa necessaria dalle due misure d’infrazione aperte dalla Commissione europea nei confronti dell’Italia, approdate adesso alla Corte di Giustizia. La Sicilia, che paga già un ritardo endemico sui sistemi di depurazione delle acque (ad esempio), è fra le quattro regioni che forniscono il maggiore contributo alle emissioni.

La prima parte delle misure stabilite col ministro Costa, riguarda un intervento forte sulla mobilità sostenibile, che mira a ridurre del 40% il traffico veicolare (entro il 2022) nei grandi agglomerati urbani e la diminuzione di polveri sottili e biossido di azoto. Il piano è rivolto alle città con più di 100 mila abitanti: cioè Palermo, Catania, Messina e Siracusa. Catania e Siracusa occupano le ultime posizioni nell’ultimo rapporto dell’ecosistema urbano realizzato dal Sole 24 Ore (anche Ragusa e Palermo sono da pianto greco). Tra le prospettive di mobilità sostenibile compaiono l’istituzione di un biglietto unico per i mezzi del trasporto pubblico (per disincentivare l’uso dei veicoli privati), incentivi ai cittadini e alle aziende per il ricambio del parco-auto, il potenziamento della mobilità ciclo-pedonale tramite la realizzazione di apposite infrastrutture, ma anche il car-sharing e il bike-sharing, che nelle regioni più evolute rappresentano la normalità. Mentre a Palermo, che si muove spesso in controtendenza, il sindaco Orlando ha da poco vietato l’utilizzo dei monopattini elettrici sul Cassaro e su via Maqueda.

Anche l’amministrazione regionale ha deciso di guardare al futuro. Ad esempio, elaborando un programma di mobilità sostenibile “casa-lavoro/scuola” destinato ai dipendenti di tutte le amministrazioni pubbliche dell’Isola, che favorirà l’utilizzo di mezzi elettrici o ibridi (e i monopattini?). Ma va ricordato che il governo, a pochi mesi dall’insediamento, aveva già approvato un piano sulla qualità dell’aria, una sorta di doppione dell’ultimo provvedimento, che comprendeva dei limiti stringenti per alcuni inquinanti. E per questo è stato subito impugnato dalle aziende del petrolchimico (i ricorsi sono tuttora pendenti al Tar). In attesa di conoscere le sentenze della magistratura, dal nuovo piano verranno introdotti nuovi valori limite per l’emissione di composti organici volatili, idrocarburi non metanici, benzene e idrogeno solferato. E soprattutto sarà obbligatorio per gli impianti industriali installare le Bat, ossia le migliori tecnologie tarate sui limiti inferiori di emissioni. Un processo di conversione costoso, che prevede tempi lunghi e, quasi certamente, nuovi ricorsi.

La Regione, così, rischia di rimanere impantanata anche sul fronte della qualità dell’aria. Come lo è sulla monnezza. Fu il proprio il ministero dell’Ambiente diretto da Sergio Costa, che ha trascorso gli ultimi due giorni in Sicilia, a stroncare il piano dei rifiuti – definendolo persino sgrammaticato – che la Regione presentò l’anno scorso all’attenzione dei suoi uffici. Al netto della riforma sul ciclo dei rifiuti, che è un disegno di legge sulla riorganizzazione della governance e nient’altro, un “piano” servirebbe come il pane per organizzare gli impianti e le regole di conferimento dell’immondizia in Sicilia, evitando che le discariche diventino appannaggio dei soliti noti. Ma anche in questo caso, dopo la stroncatura romana, non se n’è avuta più notizia. E nel frattempo, è sempre notizia di ieri, l’emergenza potrebbe palesarsi a causa della chiusura temporanea dell’impianto di compostaggio della Raco di Catania, che ha imposto lo stop alla differenziata a numerosi comuni (soprattutto nel Palermitano). Mentre a Termini Imerese lo stabilimento della Ecox – aperto da agosto – non rispetterebbe, secondo l’Arpa, l’ambiente e la salute dei cittadini (i 5 Stelle hanno chiesto la revoca dell’autorizzazione).

La Regione siciliana resta così il limbo di provvedimenti annunciati e mai completati. Di piani rivoluzionari puntualmente impallinati. Di buone intenzioni che svaniscono alla prova dei numeri. Così anche il piano sulla qualità dell’aria, che secondo Musumeci “servirà a recuperare il tantissimo tempo perduto sul fronte ambientale”, rischia anch’esso di rivelarsi aria fritta.