Partiamo da un dato di fatto, che poi è il succo dei problemi di questa terra: la Sicilia ha un mare di soldi ma non sa come utilizzarli. Perché di solito non è abituata a farlo. Il confine – sottilissimo – tra spesa e spreco è diventato emblematico negli ultimi giorni. All’interno dello stesso governo, infatti, si sono creati due partiti: da un lato i “nostalgici di Musumeci”, che vorrebbero utilizzare le ingenti risorse messe a disposizione dalla programmazione UE 2021-27 per finanziare progetti già “cantierabili”, sebbene alle volte un po’ micragnosi; dall’altro chi, come gli schifaniani, vorrebbe fare tabula rasa e destinare i miliardi (6,8 di Fondi di Sviluppo e Coesione) a macro-investimenti ancora da progettare.

Entrambi i partiti nascono e agiscono nel torto, perché figli di un approccio politico e amministrativo che, come rivelato da Opencoesione (il portale governativo sulle Politiche di coesione in Italia), ha portato a certificare soltanto un terzo della spesa europea prevista dalla precedente programmazione 2014-20: in pratica, su 43 miliardi a disposizione della Sicilia (complessivamente) si è riusciti a monitorare soltanto 15 miliardi di pagamenti già avvenuti. Un terzo. Roba da far tremare i polsi. Lo studio, pubblicato da Repubblica, evidenzia inoltre come “i progetti conclusi sono appena il 3 per cento, quelli liquidati il 16 per cento, mentre i progetti ancora in corso toccano quota 78 per cento e quelli non avviati sono un ulteriore 3 per cento”. Con questi dati ci sarebbe solo da nascondersi. Invece no.

La Regione, da qualche mese a questa parte, è impegnata a pubblicizzare i propri sforzi a supporto degli “ultimi”, sacrificando una serie di capitoli – gli investimenti in primis – che vengono soppiantati da politiche che seguono la logica del clientelismo. E che tuttavia testimoniano una totale assenza di visione e di futuro. Un clientelismo di massa, però, che non va incontro a esigenze “particolari”, bensì più larghe e stratificate. Che trae spunto dagli esempi del governo Conte-1 – dal Reddito di cittadinanza al Bonus facciate – e si radica, in forme diverse, anche nell’Isola. Prendete a titolo d’esempio il bonus energia per le imprese: l’ultimo decreto di liquidazione, con 76 milioni in palio e circa 2.700 beneficiari, restituisce il quadro degli sforzi del governo. Si tratta di fondi che dovevano servire a produrre investimenti (perché provenienti dall’Europa) e che invece, una volta rimodulati (per la cronica difficoltà di progettazione), hanno infoltito il capitolo della “spesa corrente”.

“Gli importi liquidati – si leggeva nella nota di metà dicembre – vanno da un massimo di 200 mila euro a un minimo di 3 mila euro con un valore medio pari a 27.870 euro. A ricevere il contributo sono state per lo più micro, piccole e medie imprese, ma tra i beneficiari ci sono anche aziende di grandi dimensioni”. Questa è una leva determinante per il futuro politico dell’assessore Edy Tamajo, responsabile delle Attività produttive, che si presenterà allo striscione del via delle prossime Europee. E che anche Schifani utilizza per oscurare l’inefficienza della proposta di governo. La sanità cola a picco (e strutture come il Policlinico di Palermo tengono la Tac in magazzino, ingolfando le liste d’attesa); i collegamenti infrastrutturali sono un calvario; gli sconti sui voli una tiepida illusione di primavera che diventa una croce con le feste. Ma vuoi mettere lo zuccherino del Bonus?

Il governo Schifani – dice il responsabile per le politiche economiche della Cgil Sicilia, Francesco Lucchesi, a Repubblica – ha stanziato più di 350 milioni di euro dal Fondo europeo di sviluppo regionale per incentivi alle aziende rispetto al caro energia. Se da un lato si capisce la logica della spesa veloce per non restituire le risorse, dall’altra parte sfugge la ragione di incentivi che non sono stati vincolati all’ammodernamento delle strutture né all’assunzione di giovani e donne, tanto meno limitati alle sole aziende che fossero in regola col fisco. Sono solo incentivi a pioggia”. Anche i contributi, seppure su larga scala, diventano oggetto di spreco. Economico e di futuro. In una terra che soffre lo spopolamento e che i bonus sull’energia o sul bollo auto non possono salvare.

Ora ci ritroviamo fra mille difficoltà a decidere le sorte della prossima programmazione europea, mentre da Roma ci promettono miracoli con il Ponte (dal 2032). E nell’attesa che quagli qualcosa di miracoloso, per cui la Sicilia non è attrezzata, ecco la nuova genialata. Le domande di contributi per contrastare il caro-mutui. Nessuno discute che ci sia bisogno di una mano, specie per le coppie giovani che acquistano la prima casa, ma non può essere (solo) questa la ricetta. Il numero di istanze, al momento, oscilla fra 15 e 20 mila. Schifani non trova niente di meglio per cui bearsi: “In base al numero di domande pervenute – dice il presidente della Regione – la richiesta di contributo impegna la metà del fondo messo a disposizione, pari a 50 milioni. Segno che la procedura segue il suo iter regolare e pochi giorni dalla scadenza, prevista per il 29 febbraio, la risposta di adesione è più che soddisfacente”. Insomma: ci sono ancora 25 milioni sul piatto, affrettatevi.

Un’altra trovata discreta, ma limitante per i motivi di cui sopra, è quella relativa al bollo auto. Chi ha pagato entro il 31 dicembre la tassa sull’auto, ed è in regola coi pagamenti precedenti, potrà recarsi agli sportelli e chiedere un rimborso del 10 per cento. Chi è in ritardo, invece, potrà beneficiare dello sconto fino alla fine di febbraio. Chi non ha mai pagato un euro, potrà usufruire invece dello straccia-bollo, con l’abbattimento degli interessi di mora. Una innovazione profonda che, nell’ultimo anno, ha portato un bel malloppo nelle casse d’Orleans: ma se poi questi soldi non si riesce a spenderli su servizi e innovazione, che senso ha? Certo, strizzare l’occhio agli automobilisti potrà garantire una resa (elettorale) nel breve termine. Ma poi? E che fine hanno fatto – per restare in tema di regali e di categorie “privilegiate” – i 7 milioni previsti in Finanziaria “per sostenere il comparto agrumicolo attraverso l’acquisto di arance da trasformare in succhi e conserve da distribuire per scopi umanitari e di solidarietà sociale”? Dove sono finiti i soldi, e dove le arance?

Questa filosofia di sparpagliare denari a destra e a manca è il motivo per cui la Sicilia non riesce a fare passi avanti. A breve, per i 70 deputati dell’Ars, si presenterà un’altra occasione per distribuire prebende: la mini manovra allo studio dei gruppi parlamentari, infatti, dovrebbe garantire la ricapitalizzazione di un’azienda ormai distrutta come quella dei trasporti (l’Ast), che ha già messo in vendita decine di autobus e chiuso i rubinetti in molte città, lasciando a piedi i pendolari. Non si tratta – badate – di un piano d’investimento per rilanciarla (in palio 6,5 milioni), ma per tenerla in vita ed alimentare l’illusione di centinaia di lavoratori che già sono stati mandati in ferie forzate perché l’Azienda non può pagare quelle non godute. L’assessore Aricò, improvvidamente, garantisce la rinascita della società, anche se a breve si arriverà all’esternalizzazione delle tratte più remunerative.

Un caos che descrive perfettamente la realtà del sottogoverno siciliano. Anch’esso beneficiario, qua e là, di prove di fede (a suon di milioni) da parte di esecutivo e parlamento, ma incapace di dare lustro a una Regione rimasta ancorata al proprio passato e alla cultura prevalente: il populismo degli sprechi. Una forma fanatica, estrema e degenerata di clientelismo.