Palermo si interroga sul “folle” progetto di trasformare il Golfo e la stessa città in un mega porto container, appena ingentilito da una parte a giardino. Non si tratterebbe di una fisiologica crescita del concetto di “tutto porto”, legato alla caratteristica origine fenicia e al baluardo che il Pellegrino crea “a maestrale”. Tutt’oggi entrare nel “porto storico”, ben protetto dal vento di nord-ovest è gradito ai comandanti… Adesso, però, si tratta di trasformare tutto il mare antistante Romagnolo, con baricentro circa alla Bandita, in una realtà alla Singapore o Hong Kong…

Ma andiamo con ordine. Eccoci davanti ad un tipico “rigurgito di provincialismo”: se qualcuno sogna in modo semiserio la nascita di un porto containers da far concorrenza non dico a Gioia Tauro – che è a un tiro di schioppo – ma a Tangeri e Algeciras messe insieme sappia che sta fantasticando di un porto delle favole. Anzi, delle illusioni e delle parole a vanvera. In un momento tragico come quello vissuto in questo momento da Genova, straparlare di infrastrutture inutili e velleitarie suona persino beffardo. Anche perché il sogno, chiamiamolo pure così, resterebbe tale per molti motivi.

Gioia Tauro, peraltro, è in crisi: la burocrazia e i rigori italiani (troppi controlli e perdite di tempo) rendono i porti italiani poco competitivi rispetto a Malta, Algeri, il Pireo, Algeciras. In più, battono cassa già Livorno, Trieste e Genova, mentre il primato su tutti toccherebbe al porto naturale di Augusta, che possiede – grazie a madre natura – tutte le caratteristiche necessarie, fra cui l’ampiezza, più i fondali naturali a 16 metri.

La incongruità del progetto, però, sta già a monte rispetto ad ogni valutazione sull’impatto ambientale, sull’offesa alla storia e alla natura di Palermo e della Conca d’Oro. Oppure rispetto all’assurdità di far concorrenza ad altri siti della Sicilia stessa e alla logica dei sistemi portuali, che comporta di suddividere lo sforzo dell’accoglienza fra più scali, anziché ricorrere a grandi concentrazioni.

I numeri che “giustificherebbero” un tale investimento e tale sforzo produttivo sono irraggiungibili, già per motivi di mercato. Né Palermo possiede l’esperienza specifica e su vasta scala per competere con la concorrenza in Mediterraneo che è già fortissima, a partire da Augusta. I container andrebbero “lavorati” in parte nella stessa Palermo: dove sono le industrie preparate all’uopo? Tutte da creare… Una enorme quantità di container chiederebbe di esser trasportata via terra con il sistema, oggi fondamentale, della “intermodalità”. I container andrebbero caricati su treno e gommato: dove sono l’autostrada e la linea ferroviaria?

In un anno transiterebbero – nelle previsioni – dal nuovo porto a Romagnolo 8oo mila navi fra porta containers e ro-ro (che sbarcano i Tir) per un totale di 16 milioni di TEU (unità equivalente a 20 piedi, cioè il container). Si apprende da chi ha elaborato il mastodontico progetto, che un porto di tali dimensioni finirebbe per movimentare 320 miliardi di euro l’anno. Per avere un’idea, la cifra equivarrebbe al 10 per cento del Pil nazionale, cioè quasi quanto l’intero comparto turistico dalle Alpi a Lampedusa. Se 16 milioni di Teu dovessero passare da Palermo, si pensi che tutta l’Italia (incluse Trieste, Livorno etc) ne movimenta oggi 18mila. Il nuovo porto dovrebbe essere in grado di raddoppiare – quasi – il lavoro dell’Italia intera…

Certo, se fosse possibile, un porto così risolverebbe teoricamente ogni problema di occupazione nell’area metropolitana di Palermo. Tutta la città vivrebbe col porto come l’Antico Egitto faceva col Nilo. Ma vari ostacoli si frappongono, a partire dalla concorrenza nello stesso Mediterraneo.

Per rendere funzionante il tutto occorrerebbe creare un’area artificiale sul mare – in pieno golfo – di ben 200 ettari. Più altri 100 ettari andrebbero “tolti” al terreno agricolo: sarebbero necessari per ospitare le industrie destinate alla lavorazione immediata di parte delle merci scaricate in loco. Il miraggio delle Zes (Zone economiche speciali o free zones) e conseguenti finanziamenti UE non dovrebbe far perdere la testa, ma tutto nasce da questo.

Spieghiamo meglio. L’idea è balenata all’Eurispes – una organizzazione nazionale – con la mira di attirare a Palermo, appunto, una delle sospirate ZES: Zone economiche speciali, uno strumento di sviluppo sperimentato in altre parti del mondo adesso in fase di lancio anche in Italia.

Forse è il caso di dire che tale sigla è di casa oggi ad Augusta, il porto naturale più grande dell’intera Europa e con il maggior tonnellaggio in Italia (gasiere, petroliere, ma, già da un po’, anche porta containers). Augusta, che qualcuno indica come la porta naturale d’Europa, “grida vendetta” perché non è sostenuta a sufficienza, pur avendo tutte la carte in regola per divenire “la porta d’Europa”, nella Sicilia tirrenica, la vocazione industriale (area già destinata e poco sfruttata), la predisposizione dei luoghi e la presenza della bretella autostradale porterebbero semmai un porto containers a Termini Imerese, che già dipende dall’Autorità di sistema di Palermo, dove si trova la governance che deve coordinare anche Trapani e Porto Empedocle. Secondo la “logica di sistema”, i quattro porti sono tutti “Palermo”.

Resta fermo che le autostrade dovrebbero essere portate presto a 3 corsie e che si dovrebbe realizzare al più presto il Ponte sullo Stretto: niente hai detto… Lo vorrebbe l’Europa, lo vorrebbe persino il mondo, ma – forse – sono proprio i siciliani a non volerlo. Palermo ha, insomma, di che scegliere per non rendere ancora più asfittica un’area cittadina destinata al turismo e alla vivibilità per gli stessi suoi abitanti.

Perché, dunque, non Termini? Anch’essa come Palermo adeguerebbe i propri fondali (portandoli ai 16 mt naturali di Augusta) non meno di Romagnolo, spostando i moli d’ormeggio verso l’esterno, lontano, cioè, dalla linea di costa (sempre opere ciclopiche). Farebbe la sua “brava” offesa ad Augusta, a meno di prevedere un volume di lavoro ridotto, come sarebbe logico. Del resto è inevitabile l’arrivo di containers anche a Palermo, che già sono presenti. Ma questi – come i Tir – assolvono alle necessità dell’area metropolitana e delle due zone industriali. Pertanto anche Palermo necessiterebbe subito della bretella autostradale e di una pedemontana, tutte già progettate e finanziabili, ma non “appoggiate” dal Comune. Qui Giusto Catania, di Sinistra Comune, ha espresso la propria assoluta avversità al mega porto, mentre il sindaco sembra interdetto di fronte all’eventualità di tanto lavoro.

Si tenga conto che a Vado Ligure (Savona) si lavora da 10 anni “tentando” di realizzare un porto containers (i lavori sono in corso) che è valutabile attorno alla decima parte di quello progettato per Palermo, ma l’opera è lungi dall’essere prossima al completamento. Un’idea, quella del porto container quanto meno strampalata, tanto più che il porto di Palermo, così com’è, è già riconosciuto “Porto CORE” dall’UE ed ha grosse precedenze in fatto di fondi. Esso, per quanto la città non lo recepisca, è la massima realtà industriale della Sicilia Occidentale. Tale lo fa anche la presenza del Cantiere che è specializzato nell’accogliere le piattaforme petrolifere e presto avrà un nuovo bacino per ospitare le più grandi del mondo.