Con il dovuto rispetto: quanti da sinistra criticano la riforma costituzionale stanno sprecando il fiato. Perdono tempo (e lo fanno perdere) lanciando inutili appelli per correggere questo o quell’aspetto. Insistono in buona fede nel sostenere che, contro l’instabilità dei governi, si potrebbe agire in mille altri modi senza bisogno di ricorrere all’elezione diretta del premier sperimentata soltanto in Israele e subito cestinata. Denunciano a gran voce certe bestialità della proposta Casellati, le incongruenze da Tso come perfino da destra qualcuno le ha battezzate, e ingaggiano come testimonial addirittura Gianni Letta. Si stupiscono infine che il Pd non abbia ancora elaborato una contro-riforma degna del nome pur avendo Elly Schlein la mamma giurista (dunque se ne dovrebbe intendere) ed essendosi lei stessa laureata con una tesi in diritto costituzionale. Sembrano tutte osservazioni giuste, inappuntabili. Invece si fondano su un equivoco; muovono da un presupposto che magari fosse vero; non lo è, purtroppo.

Le anime illuminate del mondo liberal partono dall’idea, ingenua o presuntuosa, che Giorgia ragioni allo stesso modo. E dunque l’obiettivo condiviso consista nel cucire addosso all’Italia il sistema di governo più funzionale, più solido, più efficiente, ma al tempo rispettoso dei vari “check and balances” che contraddistinguono le democrazie in Occidente, incominciando dal ruolo del Quirinale. Tutto questo a Meloni interessa, ci mancherebbe; sarebbe irrispettoso sostenere che al fondo lei rimanga Ducetta. Però le tecnicalità giuridiche e i vari rivolti costituzionali vengono dopo un’altra esigenza che, nell’ottica di Giorgia, si colloca assolutamente al top: mostrarsi coerente coi propri sostenitori. Far vedere che mantiene l’impegno preso, quali ne possano essere le conseguenze. Costi quel che costi. Continua su Huffington Post