Non è facile raccontare le storie siciliane. Sarà perché la nostra isola è quella in cui, secondo la consolidata regola pirandelliana, l’uomo ha un volto che ne nasconde mille altri. E forse sarà pure perché l’abbagliante luce del sole – che fa bella la nostra terra – troppo spesso, in luogo di illuminare, acceca lo sguardo dei suoi abitanti.

Con questa premessa provo a trovare le parole giuste per narrarvi qualcosa che accadde tanti anni fa e che nei miei pensieri non ha mai avuto un’adeguata giustificazione. Vi chiederete a cosa stia facendo riferimento. Ebbene, alludo all’incredibile storia del “suicidio” del maresciallo Antonino Lombardo avvenuta a Palermo il 4 marzo 1995. Un “civil servant” sacrificato all’altare dell’apparente ragione di Stato.

L’ottica con la quale cercherò di porre riflessione su quegli accadimenti, non vuole pervenire ad alcuna verità essendo solo il pensiero dell’uomo che guarda e che – a volte – riesce pure a vedere. Ciò che davvero è inspiegabile nella ricostruzione delle cose (che pure tante ne annovera di incredibili…) attiene alle modalità con cui quel servitore dello Stato fu attaccato da due sindaci – nel corso di una trasmissione televisiva del servizio pubblico – e indicato alla collettività come sodale dei mafiosi.

La domanda che dopo tanti anni non ha ancora trovato risposta è assai semplice: “Come facevano quei due sindaci a sapere ciò che il Maresciallo Lombardo stava portando a compimento?”. Da questa domanda un’altra, a stretta connessione, se ne pone: “Perché i due erano così interessati a che il Maresciallo Lombardo non portasse a compimento l’incarico che gli era stato conferito?”.

Ecco, dare risposta a queste domande darebbe un aiuto alla comprensione del passato di questa nostra martoriata terra. Sarebbe risolutivo nell’ottica che Lenin dava alla Storia, perché vi può essere un vero futuro solo in un paese che ha dissolto l’imprevedibilità del suo passato.

Scheda tratta da Wikipedia:

Antonino Lombardo (Mistretta, 29 marzo 1946 – Palermo, 4 marzo 1995) è stato un carabiniere italiano.

Maresciallo dell’Arma dei Carabinieri, nel 1980 ebbe il Comando della stazione CC di Terrasini, e da là diede un contributo importante all’arresto di Totò Riina, avvenuto il 15 gennaio 1993. A giugno del 1994, passò ai ROS della Sezione Anticrimine di Palermo. Divenne un personaggio chiave nel fenomeno del pentitismo, ed in particolare nelle relazioni con il boss Gaetano Badalamenti: il 14 novembre di quell’anno, nel carcere di Memphis, il maresciallo incontrò Badalamenti per cercare di ottenere la sua collaborazione quindi di riportarlo in Italia per testimoniare al processo per il delitto Pecorelli. Badalamenti gli raccontò che l’avvento dei corleonesi di Riina al potere sarebbe stato pilotato dalla CIA e che il boss sarebbe stato un involontario burattino nelle mani dei servizi segreti americani.

Tale era il suo rilievo che nell’ambito del processo Andreotti, Badalamenti, che poteva consegnare agli inquirenti informazioni importanti (forse anche in grado di ribaltare la tesi di Tommaso Buscetta riguardo all’omicidio Pecorelli), e che aveva conosciuto Lombardo in due incontri negli USA, stabilì, come condizione al suo rientro in Italia per testimoniare, che venisse a “prenderlo” proprio il maresciallo. Pur facendo notare la pericolosità dell’operazione, Lombardo infine accettò di organizzarla e fissò la propria partenza per il 26 febbraio 1995.

Tuttavia, tre giorni prima di questa data, Lombardo ricevette un duro colpo su un fronte inaspettato: nella trasmissione “Tempo Reale”, condotta da Michele Santoro, i due ospiti Leoluca Orlando e Manlio Mele, sindaci rispettivamente di Palermo e Terrasini, mossero accuse pesanti verso di lui, pur senza nominarlo mai esplicitamente (ma riferendosi all'”ex capo della stazione di Terrasini”). A Luigi Federici, allora Comandante Generale dell’Arma, che telefonò alla RAI in difesa di Lombardo, non fu concesso di intervenire. Passano due giorni, e il 25 febbraio viene ucciso Francesco Brugnano il cui corpo verrà ritrovato il giorno successivo nel bagagliaio della sua auto, con la testa sfracellata ed un polso legato dietro al collo.

Era un confidente del maresciallo, e la sua morte gli appare come un segnale preciso, da inserire nel contesto di altri movimenti sospetti che egli registra intorno a sé ed alla sua famiglia: come molti personaggi scomodi per la mafia, prima e dopo di lui, viene combattuto indirettamente, facendogli capire che è abbandonato ed accerchiato. Egli stesso dirà in quei giorni che “il sospetto e la delegittimazione, in Sicilia, sono sempre stati l’anticamera della soppressione fisica”.

Il 4 marzo, in una macchina parcheggiata all’interno della Caserma Bonsignore di Palermo (comando regionale dei Carabinieri), Lombardo si suicida, sparandosi con l’arma d’ordinanza, lasciando una lettera che dice: «Mi sono ucciso per non dare la soddisfazione a chi di competenza di farmi ammazzare e farmi passare per venduto e principalmente per non mettere in pericolo la vita di mia moglie e i miei figli che sono tutta la mia vita» e più avanti fa anche un riferimento esplicito alle circostanze della sua morte: “la chiave della mia delegittimazione sta nei viaggi americani…”