Scriverò una cosa forse banale. Ascoltando Fiammetta Borsellino l’altro ieri sera da Fazio non ho pensato a null’altro che all’enorme ingiustizia di tutti i figli lasciati orfani dai mafiosi negli anni che siamo stati costretti a vivere.

Voglio dire: ascoltavo le parole sacrosante di Fiammetta e durante tutto il tempo dell’intervista non ho pensato mai, nemmeno per un secondo, all’ingiustizia di un uomo (suo padre) ammazzato nel peggiore dei modi e di tutti gli uomini ammazzati dalla mafia. No. Ho solo riflettuto sulla lacerante ingiustizia di tutti i ragazzini lasciati orfani dai mafiosi, a tutte le Fiammette che allora erano poco più che ragazzine e che oggi sono donne e sono cresciute con addosso ferite che vedi e senti.

Di più: l’ingiustizia di essere stata privata del padre mi è parsa, per una volta, infinitamente più importante della sua disperata esigenza di verità, del suo grido sui depistaggi, sulle trattative, sui falsi pentiti, come se le due cose fossero indipendenti l’una dall’altro (e non lo sono), come se corressero su binari paralleli.

Non ho pensato – non senza imbarazzo, lo confesso – alle vittime vere (i morti ammazzati, quelli che non ci sono più e che hanno pagato con la vita per il loro senso del dovere) ma alle vittime di riflesso, alle madri, alle mogli e ai figli a cui è toccata l’improba sfida di continuare a vivere come vivere senza un braccio o senza una gamba, senza la guida a cui avrebbero avuto diritto e a cui tutti i figli hanno diritto.

Per una volta – come se il mio pensiero fosse guidato da una forza che mi costringesse per una volta a guardare un altro tipo di realtà, quella un po’ nascosta – la mostruosità della mafia non l’ho vista attraverso le immagini di Capaci o di via D’Amelio, ma negli occhi e nelle parole di chi è stato costretto a vivere una vita a metà, da Giulio Francese a Marida Cassarà, da Alice e Davide Grassi a Fiammetta Borsellino, i primi che mi vengono in mente, bambini che abbiamo visto portare sulle spalle il peso insopportabile di un diritto negato ed invocare, ognuno a suo modo, una giustizia che forse non arriverà mai.