Non è più il tempo di Orlando. Orlando ha fatto il suo tempo. Sembra più o meno la stessa cosa, eppure ci sono delle sfumature da cogliere. Il primo è un concetto storicizzato, che niente ha a che vedere con le capacità e le competenze dell’uomo e del politico. Peccato che la fase in cui viviamo (e il virus non c’entra) esiga soluzioni nuove rispetto a quelle immaginate dal sindaco di Palermo in 35 anni di carriera politica. Nella Rete, il partito che collaborò a fondare, è finito impigliato pure lui, il “professore”. Ma adesso, oltre a non risultare più in linea col problem solving e le esigenze pressanti di un’amministrazione pubblica – occuparsi della gestione spicciola e ordinaria non è mai stato il suo forte – Orlando ha fatto il suo tempo. Fra due anni, infatti, arriva la scadenza del mandato e lui non potrà più ricandidarsi. Il fatto drammatico (per Palermo, va da sé) è che il percorso verso la “pensione”  è scandito da numerose crepe: nel rapporto con gli alleati e col Consiglio comunale, ma anche e soprattutto con le categorie sociali, tra cui i commercianti, e i cittadini. Orlando rischia di lasciarsi alle spalle una tale quantità di macerie che, per chi verrà dopo, sarà molto difficile ricostruire.

La gestione della pandemia, come in tutti i comuni, ha fatto registrare alti e bassi anche a Palermo. Evidenziando, però, le doti da uomo-copertina del sindaco: prima l’affiancamento a Musumeci e Razza per dirimere le questioni di carattere sanitario; poi i rimbrotti (e i video) contro i palermitani poco avvezzi ai sacrifici, che potevano mettere a repentaglio la salute dei più; infine la prova muscolare esibita a capo dello squadrone dei sindaci, nelle vesti di presidente dell’Anci, per reclamare pari dignità e trattamento da Roma (l’ultima protesta tricolore, a Punta Raisi, contro Alitalia). Un uomo buono per tutte le occasioni, ma non più per tutte le stagioni. Il professore non è più stato in grado di garantire gli equilibri all’interno della coalizione che nel 2017 l’ha fatto eleggere.

Orlando infatti s’è trovato a gestire controversie inimmaginabili, che riguardano quella maggioranza di cui non è più il “mastice”. La formazione del gruppo di Italia Viva in Consiglio comunale, ha creato forti scompensi con l’Amministrazione e allargato la spaccatura con Sinistra Comune e con l’assessore di riferimento, Giusto Catania. In mezzo ci sono gli “orlandiani puri”, palesemente in difficoltà. Tre anime in una. Anche tra il sindaco e Catania, due caratteri non sempre in linea, la temperatura si è alzata inevitabilmente circa un mese fa, quando l’assessore alla Mobilità diede il via libera per far ripartire la Ztl diurna dal 18 maggio, prima che il governo Conte emanasse il Dpc sulle riaperture. Mentre il sindaco Orlando – per ricucire lo strappo coi renziani, che votarono una mozione delle opposizioni a Sala delle Lapidi – decise di rinviare tutto al 31 luglio. Mascherando a fatica la rabbia. Catania ha incassato la sconfitta e da lì non se n’è più parlato.

Ma le lacerazioni, rispetto al modo di amministrare, sono sempre più frequenti. Nei giorni scorsi, il sindaco è stato costretto a rivedere – di suo pugno – l’ordinanza anti-movida, che avrebbe voluto impedire ai locali commerciali di vendere alcolici d’asporto dopo le 20. Una direttiva anti-Covid e anti-assembramento “impugnata” dagli esercenti, che nel giro di poche ore sono riusciti a ottenere la marcia indietro (quasi totale): la sperimentazione durerà un mese, e i locali potranno vendere alcolici (non in vetro) fino alla mezzanotte, oltre che all’interno degli spazi di pertinenza del locale. “Abbiamo posto rimedio ad alcuni errori materiali che andavano corretti”, ha detto Orlando, a margine della figuraccia. Che fra l’altro non è isolata, come dimostra la gestione del “mercato ittico”: prima chiuso, poi aperto, poi richiuso e infine riaperto (a pezzi).

Il motivo del contendere, in questo caso, erano i lavori di adeguamento che l’Amministrazione comunale aveva pensato di avviare (per la durata di sei mesi) solo a fine lockdown. Col risultato di chiudere tutto e generare una stasi insopportabile per i venditori che avevano azzerato i ricavi a causa del Coronavirus. Ma anche di dar fiato a un “mercato parallelo” che non rispondesse ai principali requisiti: la sicurezza e la tracciabilità del prodotto. Alla fine, dai e dai, dopo l’intervento dell’assessore regionale alla Pesca mediterranea, Bandiera, e il grido di dolore delle marinerie dell’Isola, che non potevano più smerciare il pescato nella piazza più importante, l’opposizione ha individuato un compromesso per permettere “all’impresa di realizzare i lavori di ristrutturazione e alle aziende del comprato ittico e alle marinerie di continuare ad operare”: ossia frazionare i lavori e le aree di cantiere, ed evitando una chiusura che, sul lungo periodo, avrebbe determinato contenziosi.

Un altro coup de theatre avallato dal sindaco, senza che la maggioranza ne sapesse nulla, riguarda la pedonalizzazione di via Maqueda e corso Vittorio Emanuele, che da un lato potrebbe aiutare pub e ristoranti a montare sedie e tavolini all’aperto (anche in virtù dell’ampliamento del suolo pubblico nella misura del 50%), dall’altro ha generato numerosi mal di pancia per la diminuzione potenziale della clientela. Il provvedimento, annunciato dall’assessore Catania, ha pure un altro scoglio da superare: “Secondo noi quello che c’è nel Pgtu (il piano generale del traffico urbano) non può essere pedonalizzato, se non per particolari motivazioni” ha fatto sapere il capogruppo di Forza Italia, Giulio Tantillo. Cioè: le aree adibite a Ztl non potrebbero chiudere del tutto alle auto. “L’assessore Catania aveva scritto al consiglio comunale per dire che i provvedimenti su via Maqueda e sul Cassaro sarebbero stati sperimentali e poi sottoposti all’esame del consiglio comunale – ha spiegato Tantillo – Peccato che invece si sia fatto tutt’altro, aumentando la distanza fra l’amministrazione attiva e l’Aula”. Una distanza ormai incolmabile, come appare chiaro da tutta una serie di provvedimenti che non tengono conto del parere del Consiglio. Ma all’oscuro di tutto – negli ultimi tempi – non sarebbero soltanto le opposizioni, bensì i consiglieri del sindaco.

Il discorso sulle pedonalizzazioni, inoltre, si intreccia con la questione delicatissima del debito fuori bilancio (da 9,5 milioni) di Rap, utile a coprire gli extracosti per il conferimento dei rifiuti fuori provincia. Un capitolo spinoso, provocato dalla mancata funzionalità della discarica di Bellolampo, che rischia di creare un danno erariale e mettere nei guai uffici, giunta e consiglieri comunali. Sono al vaglio un paio di proposte che verranno analizzate dall’aula. Ma è questo il quadro di una città slegata, con un sindaco che fatica a individuare i correttivi e non sa più coinvolgere gli attori.

“Orlando è un uomo stanco e disattento alle questioni amministrative – è il commento di Fabrizio Ferrandelli, capogruppo di + Europa in Consiglio comunale – Fin quando si occupava a tempo pieno della città, la mediocrità degli uomini e delle donne di cui si circondava poteva essere funzionale. Oggi che lui ha mollato, però, sta venendo fuori tutta l’incapacità amministrativa della squadra che ha scelto. Il sindaco non ha più il polso della città e non si confronta nemmeno con la sua parte di maggioranza. Fa un’ordinanza ed è costretto a revocarla perché succede una sommossa, è tutto improvvisazione…”. Anche il consigliere di Forza Italia Andrea Mineo torna a pungere: “Oggi non esistono più rapporti, o sono molto “dialettici”, tra il Consiglio comunale, soprattutto nella componente di maggioranza, e la giunta. Le fughe in avanti di alcuni assessori sono inappropriate per il momento storico che stiamo vivendo. Alcuni inviti al dialogo sono stati totalmente disattesi. Sulla vicenda del mercato ittico, e su tante altre, siamo stati noi dell’opposizione a metterci una pezza, perché abbiamo continuato a lavorare con spirito di collaborazione, senza guardare il colore politico”.

La conclusione di Ferrandelli è tranchant: “E’ come quando un corpo va in cancrena: se intervieni subito puoi salvare l’arto, ma qui c’è il rischio che tutto vada in putrefazione… Palermo nei prossimi due anni rischia il disastro. La gestione di Orlando rischia di trascinarci tutti nella palude. Temo per i conti del Comune, che potrebbero essere compromessi. In campagna elettorale, tre anni fa, avevo detto che il voto a Orlando era rischioso perché sarebbe andato a un sindaco che non avrebbe avuto più alcun interesse a ricandidarsi, né l’età per dare uno slancio amministrativo. Quel presagio si sta avverando”.