“Comunicazione ricevuta adesso: andate a Villa delle Ginestre con i moduli di consenso già compilati. Evitiamo polemiche sulla modalità di questa comunicazione che ho appena ricevuto, ma piuttosto diffondiamola”. Parlava così, ieri mattina alle 11.47, Mario Marrone, presidente dell’albo degli odontoiatri di Palermo. Circa duecento liberi professionisti hanno “obbedito”, recandosi al centro di somministrazione. A qualcuno è stato iniettata la dose, ma alle 16 è scattato il blocco. I dentisti, infatti, non rientrano nel target individuato dal piano nazionale. In chat corre lo sdegno. Così Marrone e i colleghi si barricano all’interno, costringendo la Digos a intervenire. Alle 20 la tensione è palpabile, così l’Asp sceglie di vaccinarli tutti per motivi di “ordine pubblico”.

Più che fare i vaccini – da Palermo a Ragusa, la campagna di immunizzazione va avanti a fari spenti – il problema è saperli comunicare. La Sicilia, come altre regioni, soffre per un’uscita dai blocchi un po’ a rilento. Il numero delle iniezioni effettuate, per un paio di giorni, non si è mosso da quota 2.174, il 5,3% rispetto alle dosi messe a disposizione dal commissario per l’emergenza, Domenico Arcuri. Sembrava fosse un problema tutto nostro (e del Molise). Ma nelle ultime ore si registrano progressi: nella piattaforma dell’Aifa, l’agenzia italiana del farmaco, è stata raggiunta quota 11.636 vaccini somministrati, cioè il 25% di quelli già a disposizione. Il problema della Sicilia, effettivamente, era di comunicazione. All’interno di ogni team vaccinale esiste una figura destinata all’uopo, quella dell’amministrativo, che entro le 18 di ogni giorno dovrebbe informare il capo della task force regionale, l’anestesista dell’Asp di Trapani, Mario Minore, sulla quantità di dosi del farmaco Pfizer inoculate. Per un motivo o per un altro, questo passaggio è saltato. Qualche manager, a microfoni spenti, si è lamentato per la carenza di personale. E ne ha ben d’onde.

La questione “personale” è tuttora aperta. Ma non sono soltanto gli amministrativi a mancare. Il commissario nazionale per l’emergenza, Domenico Arcuri, ammette le difficoltà: “E’ vero, ci sono pochi vaccinatori. Il bando è stato fatto, ma per ora non servono”. L’assessore Razza, in Sicilia, aveva promesso l’assunzione di 1.300 fra medici e infermieri. Il picco verso marzo. Cioè nello stesso periodo in cui dovrebbe essere avviata la vaccinazione di massa, che interessa quattro milioni di over-70 e sette milioni di italiani che soffrono di patologie croniche concomitanti. Insomma, altre fasce deboli. Ma perché solo a marzo? Evidentemente perché il piano vaccinale stipulato dall’Italia qualche carenza ce l’ha: ad esempio, il fatto di essersi affidati a occhi chiusi ad Astrazeneca, la società che ha sviluppato il siero con l’istituto Irbm di Pomezia e l’università di Oxford, che non ha ancora inoltrato la domanda di approvazione all’agenzia europea del farmaco, e difficilmente otterrà il via libera prima di febbraio. Entro giugno, comunque, dovrebbero arrivare in Italia circa 50 milioni di dosi.

Tuttavia, non sembra questo il punto. A spiegarlo con dovizia di particolari è il giornalista del “Foglio”, Luciano Capone, con un post su Facebook: S”e pure non dovesse essere autorizzato il vaccino AstraZeneca, e se pure non dovessero aumentare le forniture di Pfizer/BioNTech – ha scritto – nel primo trimestre 2021 avremo circa 10 milioni di dosi (includendo 1,35 mln di Moderna). Vuol dire che per vaccinare solo 5 milioni di persone, tra personale sanitario e over 80, dobbiamo essere capaci di fare oltre 100 mila iniezioni al giorno. Al momento la disponibilità dei vaccini è scarsa rispetto alle esigenze della popolazione, ma ancora più scarsa è la capacità di farli”.

Ciò che fa arrabbiare – sulla falsariga dei festeggiamenti di Capodanno a Wuhan, mentre 60 milioni di italiani sono rimasti chiusi in casa – è che altrove la campagna vaccinale procede spedita. Come, ad esempio, nel piccolo stato di Israele, dove in nemmeno due settimane sono state vaccinati 1 milione di persone, mentre Arcuri, qui da noi, ammonisce le Regioni: “Se vaccineremo meno di 65 mila persone al giorno la campagna sarà un fallimento”. Non è ancora il momento di fasciarsi la testa – chiaramente – anche se l’inizio non è dei più confortanti. La Sicilia, ad esempio, paga la falsa partenza del 31 dicembre, quando le fiale della Pfizer sono arrivate da programma nei vari centri di somministrazione (gli ospedali), ma a causa della mancata certificazione sulla catena del freddo da parte della Pfizer – un’autorizzazione propedeutica alla somministrazione dei vaccini – il programma ha ottenuto uno slittamento di un paio di giorni.

Nel frattempo c’è chi, come il segretario della Lega, Nino Minardo, chiede “risposte chiare a conferma dell’efficace azione di governo. Siamo leali sostenitori del governo regionale ma in nessun caso possiamo rinunciare ad ascoltare e a farci interpreti delle legittime richieste dei siciliani che vogliono capire come, quando e dove avverrà la distribuzione del vaccino anti-Covid. Non possiamo allinearci in maniera acritica al disastro che stiamo registrando in altre regioni, laddove la percentuale tra vaccini a disposizione e vaccini inoculati è bassissima e preoccupante, soprattutto se si fa un semplice calcolo matematico tra le dosi necessarie per immunizzare la popolazione e quelle realmente disponibili e somministrate”. “Per queste ragioni – insiste Minardo – chiedo al presidente Musumeci ed all’assessore Razza, con la collaborazione dei manager isolani delle Asp, di fornire con chiarezza e tempestività ad ogni cittadino siciliano i chiarimenti ai quesiti semplici ma angoscianti che ampie fasce di popolazione si stanno ponendo a partire dalla data di inizio della vaccinazione dei cittadini, a luogo di conservazione delle forniture nei territori, ai soggetti abilitati alla somministrazione del vaccino”.

Un’operazione verità che potrebbe partire, ogni giorno, dall’inserimento del dato sui vaccini nelle tabelle che ci mostrano il virus ai raggi X: cioè nuovi positivi, ricoveri ordinari e in terapia intensiva, morti e guariti. Non sarebbe male offrire ai cittadini siciliani una percezione più accurata della campagna vaccinale. Fermo restando che ci sono altri problemi di cui occuparsi: intanto, la legittimità di chi riceve il siero. I “furbetti dello scavalco” – Razza è stato il primo ad ammettere che i sei universitari di Catania non andavano vaccinati in questa fase – non possono e non devono rappresentare un freno alla campagna, che è già nel mirino di no-vax e buffoni vari. A scavalcare la fila sarebbero stati anche dei medici non-in-prima-linea nella battaglia al Covid, contrariamente a quanto indicato nel piano nazionale. Inoltre, a Palermo, un ordine di servizio da parte dell’Asp prevede che il vaccino anti-Covid sia somministrato innanzi tutto al personale interno dell’azienda, e soltanto dopo ai medici di base e ai pediatri, che ovviamente hanno protestato. Da oggi verranno riammessi alla profilassi.

La Regione deve, tuttavia, cercare di informare nella maniera adeguata e sensibilizzare la popolazione che quella del vaccino è l’unica buona pratica per uscire da uno sprofondo che dura da quasi un anno. E contribuire all’individuazione di forme di premialità per chi ha già ottenuto la patente immunitaria. Razza ne ha proposto una: “Si possono introdurre limitazioni di alcune attività per chi non è vaccinato – ha detto l’assessore -. Questa è una mossa ragionevole e ha già avuto successo con i vaccini per i bambini. Si può limitare l’accesso a luoghi come palestre, piscine, stadi oppure si può impedire di viaggiare, entrare in uffici o a bordo di mezzi pubblici a chi non dimostrerà di essere immune”. Il principio della obbligatorietà vaccinale è stato escluso nei giorni scorsi anche dal ministro della Salute, Roberto Speranza, perché rischierebbe di spaccare il Paese e paralizzarlo più di quanto non sia già avvenuto in questi mesi.

In Sicilia dovrebbero arrivare poco meno di 50 mila dosi a settimana. La fase-1 contempla 141 mila vaccinazioni. E il target, sulla falsariga di quanto stabilito dal piano nazionale, prevede che a vaccinarsi per primi siano: 79.385 professionisti della sanità; 21.551 ospiti e 10.463 operatori delle Rsa; 8.600 operatori della sanità privata; 3.092 operatori del 118 (Seus); 4.721 tra medici di base e pediatri; 1.455 collaboratori degli studi dei medici di base e dei pediatri; 2.956 operatori della Medicina di emergenza territoriale; 4.527 unità di personale assunto per l’emergenza Covid; 800 studenti dei corsi di medicina generale; 3.534 specializzandi. In questo gioco di incastri la comunicazione è fondamentale. Far andare le cose dritte pure. Siamo ancora all’inizio, ma qui si gioca una battaglia per la vita.